Piccoli imperi cadono
Pubblicato nella seconda metà del Settecento, Decline and Fall of Roman Empire di Edward Gibbon, è stato letto in Inghilterra per due secoli come qualcosa di simile al Vangelo da quelli che volevano dare alla politica un senso più nobile chiamato storia. Erano tutti affascinati dal tema della nascita e soprattutto della caduta degli imperi. All’epoca gli inglesi fingevano ancora di essere dei bottegai (così li aveva chiamati Napoleone, prendendo un grosso abbaglio) interessati solo al commercio e alle merci, mentre in realtà stavano ponendo le basi per l’impero più grande del mondo. Si sentivano gli eredi dei Romani, volevano essere come loro, ma nello stesso tempo non volevano fare quella fine tragica raccontata nelle storie delle guerre gotiche. Nessuno è mai riuscito a capire se il crollo degli imperi sia iscritto nella loro stessa nascita, o sia un evento dovuto alla fatuità e imprevedibilità del caso.
In questi giorni è uscito un bel libro che s’intitola Vanished Kingdoms: The History of Half-Forgotten Europe, un tomo di ottocentocinquanta pagine scritte in corpo otto (Penguin Books, 12 euro). L’autore è Norman Davies, uno dei più noti storici inglesi. È un luogo comune dire che la storia scritta nei libri e insegnata a scuola è sempre quella dei vincitori. Ma questa è rimasta solo una dichiarazione di principio da cui non sono state tratte tutte le conseguenze perché gli storici di stampo accademico sono portati a lavorare al coperto dalla tradizione e detestano andare nei territori di nessuno. Fa eccezione Norman Davies che si è dedicato a raccontare gli imperi scomparsi, ignorati o dimenticati, come la Prussia, l’Aragona e la Borgogna. È curioso che in un libro simile l’autore si sia dimenticato del caso più clamoroso, rappresentato dall’Inghilterra, in pochi anni passata dal rango di dominatrice di sette mari alla sua natura primaria ed essenziale di modesta isola abitata da isolani off-shore.
Davies non usa quasi mai la parola “decadenza”, un termine vago impiegato dagli storici per spiegare quello che loro non hanno capito. Spesso adoperato in maniera sbagliata. La “decadenza” dell’impero bizantino, un leitmotiv della storiografia di Sette-Ottocento è sempre stata raccontata come la Torre di Pisa, che pende che pende e
che non va mai giù. Se andiamo a controllare le date dell’impero di Bisanzio ci accorgiamo che è rimasto così periclitante per un tempo doppio dell’Impero romano. Questi grandi agglomerati multirazziali e multilinguistici che sembravano ai nostri nonni l’emblema stesso della corruzione e dello sfasciume statale, come l’impero asburgico e l’impero ottomano, sono risultati molto più tolleranti, molto più ordinati e molto più civili delle litigiose, pericolose, turbolente nazioni nate dalla loro frantumazione. Così come i tramonti degli imperi sono risultati molto più luminosi, gradevoli e civili delle albe “radiose” promesse dalle rivoluzioni, simili a galere. Solo da pochi anni anche in Russia ammettono che l’economia dell’impero zarista, per quanto reazionario fosse, nei primi quindici anni del Novecento avesse il più alto tasso di crescita industriale dell’Europa. Che avrebbe portato la Russia a essere un grande paese, se non ci fosse stata la presa di potere dei bolscevichi.
Uno dei capitoli più lunghi e affascinanti del libro è dedicato alla vicenda della Borgogna. Nel Quattrocento era considerata la corte più lussuosa e stravagante che ci fosse in tutto il continente, nello stesso tempo la più ricca e amante delle arti, ma che soffriva dell’angst del passato, inteso come mondo cavalleresco, abitato solo da cavalieri “sans tache ni reproche”.
Mentre i mercanti toscani viaggiavano in Europa e pagavano le merci con cambiali, inventate da loro stessi due secoli prima, i giovani borgognoni vedevano lo scialacquo come una delle belle arti e spendevano tutti i loro patrimoni in tornei e feste. Una civiltà raccontata in maniera splendida da un famoso libro L’autunno del Medioevo di Huizinga.
Una delle cause più frequenti della scomparsa delle nazioni è stata la sconfitta in guerra: ma nessuno ha avuto più sfortuna della Prussia, battuta come parte della Germania nella Seconda guerra mondiale. Successivamente anche dissolta nel 1947 da un decreto alleato che l’accusava di essere stato un paese «reazionario e guerrafondaio ». In questo caso, oltre all’assurdità di cancellare una nazione burocraticamente, come se fosse non un ente vivo, ma una scartoffia dell’anagrafe, gli alleati non dovevano conoscere bene la storia. La Prussia è stato il paese degli Junker che servivano lo Stato come militari. Ma anche la nazione che per prima ha protetto i lavoratori con orari, pensioni e ferie pagate. Nel Novecento, anche durante il periodo nazista, la maggioranza in parlamento era formata da socialdemocratici. Oggi tutta la Prussia orientale e parte di quello occidentale porta nomi polacchi e anche il castello, che era la roccaforte dei cavalieri teutonici. L’unico posto che conserva il nome tedesco è per ragioni turistiche: la Wolfeschanze, la tana del lupo, da dove Hitler guidava le armate che aveva lanciato contro la Russia. Mentre Kà¶nigsberg, dove l’orologiaio della torre regolava le lancette al passaggio del grande Immanuel Kant, per conoscere l’ora precisa, ora si chiama Kaliningrad, che è stata trasformata dai russi in una deprimente periferia di tipo moscovita.
Davies ha visitato quasi tutte le località da lui citate, e può essere letto come una guida in parte moderna, che fa una serie infinita di riferimenti al passato. Ma per quanto riguarda la Toscana il nostro autore ha fatto un errore grossolano: il Granducato di Toscana, degli Asburgo Lorena, poi passato dopo la caduta di Napoleone a Luisa d’Asburgo, non è mai stata una nazione eliminata dalla storia, ma una regione italiana senza la quale lo stesso nome Italia non avrebbe più senso. Forse Davies voleva riferirsi al paese degli Etruschi, che aveva avuto una vera identità nazionale prima di essere eliminato dalla micidiale macchina da guerra romana. Ma questa è una storia che si è svolta parecchi secoli fa.
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IL LIBRO
“Vanished Kingdoms: The History of Half-Forgotten Europe” di Norman Davies (Penguin Books)
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