Per la casa gli italiani versano in tasse 41 miliardi l’anno

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Il rapporto della Commissione bicamerale presieduta da Maurizio Leo del Pdl, frutto di quattro anni di audizioni, acquisizioni di documenti e approfondimenti, esprime così il via libera all’aggiornamento del Redditometro, definito «un intervento di grande rilievo strategico» che permette «una maggiore incisività  dell’azione di controllo» e allo stesso tempo «garantisce il necessario contraltare costituito dalle garanzie a favore del contribuente». Nel rapporto, che si occupa anche di federalismo e della destinazione delle imposte sulla casa, risalta però il dato sul prelievo sugli immobili che nel 2012 ha superato i 41 miliardi di euro, di cui circa il 49% rappresentato dall’Imu e per il resto da altri tributi come Irpef, Iva, imposta di registro, Tarsu o Tia (sostituite da quest’anno dalla Tares), imposta ipotecaria e catastale e imposte sul consumo di energia elettrica. Nell’ultimo triennio, il prelievo sugli immobili è cresciuto di 9 miliardi di euro (circa il 25%), dai 32,92 miliardi del 2010 ai 41,18 miliardi del 2012.
Tornando all’evasione, per fare emergere l’economia sommersa, in modo da tassarla secondo le regole, il documento della Commissione per l’Anagrafe tributaria si focalizza sull’eccessivo uso del contante che «trova la sua principale ragione nella garanzia di anonimato»: a fronte della media dell’area euro di 182 operazioni pro capite l’anno con carte elettroniche, l’ Italia ne registra solo 68, poco più di un terzo.
Ci sono però altri punti critici nel sistema, non connessi all’evasione. Uno di questi è il codice fiscale, il codice alfanumerico di 16 caratteri, legato ai dati anagrafici, sempre più soggetto a rischi di omocodia, che si verifica quando due persone hanno la stessa sequenza di lettere e numeri per farsi identificare dall’erario. Il problema che riguarda già  ora 1400 nuovi casi l’anno, è destinato ad aggravarsi con l’aggiunta di ulteriori difficoltà  di codificazione per l’ingresso sempre più numeroso di stranieri per i quali ad esempio viene preso in considerazione lo Stato di nascita e non la città  e che spesso forniscono solo l’anno di nascita e non il giorno. Per questo l’Agenzia delle Entrate insieme con la Sogei hanno identificato «una possibile alternativa di codifica» «solo parzialmente generata da dati anagrafici», che però potrebbe essere utilizzata solo per il futuro, non potendo immaginarsi la conversione di quelli esistenti. Insomma la strada potrebbe essere quella di due diversi tipi di codice.


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