Pdl-Lega, un vertice ad Arcore per l’intesa «obbligata»
ROMA — Un incontro ad Arcore, a ranghi ristretti, e con un solo obiettivo: chiudere nella maniera meno onerosa possibile per ciascuno un accordo che è diventato indispensabile sia per il Pdl che per la Lega. A sera la cena era ancora in corso, ma soprattutto dall’entourage berlusconiano filtrava ottimismo: «Arrivati a questo punto — diceva un ex ministro — una rottura sarebbe incomprensibile e devastante sia per loro che per noi». E dunque Berlusconi, Alfano, Verdini, Bonaiuti assieme a Maroni hanno messo le rispettive carte sul tavolo, con tanto di paletti. Consapevoli che una parte — il Pdl — per sperare di vincere le elezioni o almeno di essere determinante al Senato per impedire la vittoria piena del Pd (conquistando Lombardia e Veneto) ha assoluto bisogno di un’intesa. E l’altra, la Lega, per portare Maroni alla guida del Pirellone ed essere contemporaneamente certa di entrare in Parlamento (la soglia del 4% alla Camera secondo i sondaggi è raggiunta, ma non è scontata) ha altrettanto la necessità di siglare un’intesa con il Pdl.
Certo, i problemi alla vigilia del summit non erano ancora del tutto risolti. Tutt’altro. Berlusconi vuole superarli ad ogni costo, convinto com’è che la sua coalizione, se unita, possa vincere: «Possiamo raggiungere il 40%. Monti? E’ una comparsa destinata a lasciare presto la politica italiana. Candidandosi ha fatto una cosa immorale». E Angelino Alfano, qualche ora prima del vertice, dava l’accordo in dirittura d’arrivo: «Siamo molto vicini a raggiungere un’intesa, con la Lega che si è espressa sulla cosa più importante: e cioè Berlusconi capo della coalizione». Ma anche chi all’intesa nei giorni scorsi ha lavorato dietro le quinte, come Paolo Romani, ragionava mettendo sul piatto la «logica delle cose: sul programma, la richiesta della Lega di lasciare il 75% delle tasse nella regione dove vengono raccolte non è così difficile da soddisfare: si parla di un meccanismo che dovrebbe andare in vigore gradualmente in 5 anni, e già oggi per 150 miliardi dati allo Stato, la Lombardia ne riceve 107…».
L’altra richiesta invece, ovvero che Berlusconi non sia il candidato premier della coalizione, sulla carta è «un falso problema: la legge chiede di indicare solo il capo della coalizione. Poi, se si vuole, ogni partito indica il suo candidato premier — già nel 2006 facemmo l’attacco a tre punte con Berlusconi-Fini-Casini — oppure si può dire quello che è ovvio, e cioè che sarà il capo dello Stato a dare l’incarico».
In ogni caso, conferma anche Alfano, il Pdl non rinuncerà al ruolo di Berlusconi «che ci sta facendo guadagnare moltissimo nei sondaggi», e su questo la Lega dovrà farsene una ragione. Ma il punto del contendere è proprio qui. E si capisce che è nel Carroccio che sta avvenendo una guerra tra le anime più dure e pure e quelle più disponibili all’intesa. Lo stesso Matteo Salvini, che ieri mattina in un’intervista al Messaggero spiegava che «non sempre la base ha ragione» aprendo all’accordo, in serata (dopo che tanti messaggi di leghisti arrabbiati gli erano giunti e l’ex capogruppo Reguzzoni lo bacchettava perché la base «finora si era detto che contava») smorzava gli entusiasmi dei possibili alleati: «Alfano dice che c’è l’accordo? Evidentemente ha notizie che io non ho. Con Berlusconi in campo non è possibile alcun accordo».
Dunque si decide tutto nelle prossime, delicatissime ore. E solo dopo si scioglieranno gli altri nodi. Oggi pomeriggio comunque si terrà il tavolo delle candidature per la Lombardia (con Gelmini, Santanchè, Romani, Casero, Mantovani), e a Roma un ufficio di presidenza sulle regole per le liste. Praticamente certo che la norma base sarà la non ricandidabilità per chi ha più di tre mandati alle spalle e più di 65 anni (ma sono previste parecchie deroghe), dovrebbe poi passare il principio del 40% di donne elette e molte di loro a capolista e il più possibile l’apertura a facce nuove, giovani, imprenditori. Possibile anche qualche sorpresa di peso: sembra che Alfano stia corteggiando, con possibilità di ottenere il risultato, il ministro degli Esteri Terzi, per presentare una candidatura di caratura internazionale.
Intanto, si fa frenetica la ricerca del candidato per la Regione Lazio. Francesco Storace difficilmente otterrà l’appoggio del Pdl, che sembra orientato a scegliere un candidato interno o della società civile. In pole position ci sono la deputata Beatrice Lorenzin e l’eurodeputata Roberta Angelilli, ma anche Simonetta Matone, magistrato, se rinunciasse al «paracadute» di un seggio parlamentare sarebbe un candidato che potrebbe mettere d’accordo tutti.
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