Pd-Ingroia, la battaglia del «voto utile»

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ROMA — Vittoria dei progressisti al Senato anche nelle regioni in bilico: l’obiettivo di farcela pure in Campania, Lombardia e Sicilia, conquistando così il governo del Paese, è ambizioso ma non irraggiungibile. Per questo Pd e Sel hanno iniziato a martellare con la campagna sul «voto utile» contro il «voto inutile» catalizzato dalla lista Ingroia-Rivoluzione civile. Perché, argomenta Pier Luigi Bersani, «chi non aiuta il Pd fa un regalo a Berlusconi».
Tutto questo segue un ultimatum lanciato da Dario Franceschini che ha chiesto all’ex pm di Palermo (sostenuto da Antonio Di Pietro, Leoluca Orlando, Luigi De Magistris, verdi, Prc e Comunisti Italiani) di fare unilateralmente un passo indietro al Senato nelle tre regioni chiave. «Troppo tardi, proposta irricevibile», risponde però Ingroia che comunque non chiude: «Caro Pier Luigi vuoi il voto utile? Il nostro è il voto utile, parliamone. Perché a proposito di voto utile senza di noi il tuo voto è inutile». Per cui, insiste il magistrato in aspettativa, «è il Pd che sta facendo un regalo a Berlusconi, non noi: chi non si accorda con noi, che potremmo sostenere il Pd al Senato, fa un regalo a Berlusconi».
E anche ieri, nella sede di Rivoluzione civile di piazza Sant’Ignazio dove da due giorni è presente anche il sindaco di Palermo, non è arrivata l’attesa telefonata dal Pd. Ingroia e i suoi, infatti, chiedono a Bersani una legittimazione, «un riconoscimento del ruolo politico» che fin qui non è stato concesso: «Sì, io ho cercato Bersani una volta e gli ho anche mandato un sms per una richiesta di colloquio e di apertura», ha precisato Ingroia alla trasmissione radiofonica «Un giorno da pecora» prima di trasferirsi nello studio di Ballarò.
Fin dai primi giorni di dicembre, quando l’ex pm non era in lista con Di Pietro e gli altri partiti della lista radicale, lo staff di Bersani era stato messo al corrente del tentativo politico intrapreso da Ingroia. Così, dopo quasi due mesi di non comunicazione, Pd e Rivoluzione civile (che intanto si è strutturata con Paolo Ferrero, Oliviero Diliberto e Angelo Bonelli) sono arrivati ai ferri corti sulla questione nodale del Senato, dopo averci girato intorno a lungo.
Ora Bersani nega che ci sia stata una richiesta di patto di desistenza in Lombardia, Campania e Sicilia disvelata da Orlando («Dario Franceschini mi ha contattato a nome del Pd e mi ha chiesto di non presentare le nostre liste in regioni chiave quali la Sicilia, la Campania e la Lombardia»).
In realtà , lo schema di un accordo possibile sarebbe semplice: Ingroia ritira le sue truppe al Senato nelle regioni chiave (dove tra l’altro è difficile che vinca da solo), facilitando così Pd-Sel per la conquista del premio di maggioranza, e in cambio ottiene due-tre seggi senatoriali sicuri nelle liste del Pd per altrettante personalità  della società  civile gradite agli arancioni. Ma questo modulo prevede un accordo politico, un riconoscimento alla luce del sole, che Bersani non vuole concedere.
Però nella sede di Rivoluzione civile continuano a sperare: «Il Pd, che ha già  fatto l’accordo con Monti, con i nostri voti potrebbe governare da solo». Messi insieme due calcoli, infatti, è in ballo un pacchetto di 14-20 seggi in più al Senato per i progressisti (il premio di maggioranza nelle tre regioni chiave o in due di esse) che dipendono, appunto, dai voti di Rivoluzione civile.
Se questo schema salta — come lascia intendere Bersani con la campagna sul voto utile che presto coinvolgerà  anche Vendola — Ingroia ha già  pronta una contromossa sul fronte delle candidature antimafia: in Sicilia, infatti, Rivoluzione civile è pronta a schierare Franco La Torre — il figlio del segretario regionale del Pci, Pio La Torre, assassinato da Cosa nostra nel 1982 — che nonostante sia un tesserato del Pd andrebbe a contendere i voti per il Senato a Corradino Mineo (Pd) e a Francesco Forgione (Sel). In altre parole, Ingroia minaccia di scatenare un’offensiva anti progressisti in Sicilia se Bersani non chiude l’accordo. Ma dalla base molti storcono il naso. Il sindaco di Napoli Luigi de Magistris, animatore della lista Rivoluzione civile, è contrario: «Desistenza? Noi siamo per la resistenza. Quando si fa una lista che si chiama Rivoluzione civile non si può praticare alcuna desistenza. Se il Pd fosse interessato a un rapporto con Rivoluzione civile, si sarebbe mosso prima….».


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