Parla Assad: «Sconfiggerò i pupazzi dell’Occidente»

by Sergio Segio | 7 Gennaio 2013 7:23

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GERUSALEMME — L’immagine alle spalle di Bashar Assad è un collage della sofferenza del popolo siriano: i volti delle vittime della guerra, che sono ormai 60.000 secondo l’Onu, composti insieme in un’enorme tricolore, contesi come simboli dall’opposizione e dal regime. Parlando per un’ora in diretta tv nel suo primo discorso pubblico dallo scorso giugno, Assad ha riconosciuto la tragedia in cui da 21 mesi è sprofondata la nazione. «Ci incontriamo oggi nella terra della Siria sopraffatta dal dolore». Ma ha attribuito ogni responsabilità  ai ribelli che, come in passato, ha definito terroristi e «burattini dell’Occidente», negando l’esistenza di una rivoluzione popolare.
Era stato anticipato dalla stampa libanese che il presidente siriano avrebbe offerto un piano di pace. E in effetti Assad ha presentato una proposta in due tappe, che respinge però i piani occidentali. Paragonando il suo governo a qualcuno che vuole «sposarsi ma non trova un partner adeguato», ha domandato retoricamente: «Con chi dovremmo trattare, con i terroristi? Vogliamo dialogare con i padroni e non con i loro servitori». Il piano prevede innanzitutto che i Paesi stranieri smettano di finanziare e armare i ribelli, con la promessa che allora il regime poserà  le armi riservandosi comunque «il diritto a difendersi». Seconda tappa: una «conferenza nazionale» (che escluderebbe però gran parte dell’opposizione armata e in esilio) per arrivare a una nuova Costituzione da sottoporre a referendum, seguita da elezioni e da un governo di coalizione. Assad non ha mostrato alcuna intenzione di dimettersi (una precondizione essenziale posta dai ribelli e dai governi occidentali). Catherine Ashton ha replicato, a nome dell’Europa, che deve «lasciare il potere e consentire una transizione politica». Londra ha aggiunto che le sue «promesse vuote di riforma non convincono nessuno». Per Washington è ormai «disconnesso dalla realtà ». «Una perdita di tempo», ha commentato la Coalizione nazionale siriana, formata in Qatar a novembre e riconosciuta come rappresentante dell’opposizione da Usa e Ue.
Esponendosi nel teatro dell’Opera al centro di Damasco, Assad ha dato una prova di forza in un momento in cui i ribelli rivendicano conquiste militari, e dopo settimane di speculazioni sui media occidentali che gli alleati possano far pressione su di lui. Il presidente siriano ha invece ringraziato Russia, Cina e Iran per il loro appoggio. La mediazione dell’inviato Onu Lashkar Brahimi tra Damasco, Mosca e Washington per una transizione politica non è sembrata mai così inutile. «Transizione da dove verso dove? — ha chiesto sdegnato Assad —. Da un Paese indipendente ad uno sotto occupazione? Dallo Stato al caos?». Mentre gli Usa inviano i Patriot al confine turco contro i missili del regime, e Israele erige una barriera contro i jihadisti, Assad viene circondato da una folla che grida il suo nome. Finito il discorso, non riesce a scendere dal palco, le guardie gli fanno scudo. A teatro Assad è una popstar, che sorride e indugia a salutare. Per ora.
Viviana Mazza

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