Obama 2, il maschilista Casa Bianca senza donne

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«E PENSARE che ha vinto grazie al nostro voto», ha aggiunto Terry O’-Neil. Se non è del tutto vero che Barack Obama debba soltanto alle elettrici la propria vittoria su Romney, certamente quella foto di gruppo che si sta formando attorno al tavolone ovale della Cabinet Room, la sala per le riunioni di governo, somiglia sempre più al direttivo di un club del golf maschilista piuttosto che a quel ritratto della diversità  di genere, e non soltanto di colore, che da lui le donne si aspettavano. Per un uomo politico che ha conquistato il 55% del voto femminile, avere anche meno delle otto signore che fino a ieri sedevano, in netta minoranza, fra i 23 che formano il governo è una delusione. Se non un’offesa.
Perduta la regina indiscussa della rappresentanza femminile nel governo, quella Hillary Clinton che aveva annunciato anche prima della commozione cerebrale e dell’embolo il proprio addio, e divenuta impossibile per ragioni di partito la sua sostituzione con l’ambasciatrice Susan Rice detestata dai repubblicani, sarà  un vecchio campione bianco della politica politicante, John Kerry, a sedere sulla poltrona massima, quella del Dipartimento di Stato. La serie di donne alla guida della diplomazia americana, Condi Rice per Bush dopo Madeleine Albright per Clinton, si interrompe. Il segretario di Stato è la terza persona nella classifica costituzionale dei successori del Capo dello Stato in caso di emergenza, di malattia o di morte. Con la partenza di Hillary, e con la sconfitta di Nancy Pelosi, che come “presidente della Camera” era la seconda dopo il vice Biden, non ci sono più donne ai primi posti dei potenziali successori.
Altri “WOM”, white old man, maschi anzianotti, prenderanno il timone del Pentagono, nella persona del senatore Chuck Hagel e della Cia, con John Brennan, sedie che comunque mai nella storia erano state occupate da femmine. Per il Tesoro, oggi ministero secondo a nessuno per importanza, il prescelto da Obama per rimpiazzare Tim Geithner è il fedele Jack Lew, capo gabinetto del presidente per quattro anni. Se ne andrà  Lisa Jackson, responsabili della potentissima Agenzia per l’Ambiente, senza la quale non costruisce nulla, mentre Janet Napolitano, boss della Agenzia per la Sicurezza Nazionale, abbandonerà  il posto nella speranze di diventare ministro della Giustizia. Ma nel tentativo di scalata potrebbe restare sospesa e cadere. A una donna resterà  invece la grana della Sec, quella Commissione che dovrebbe sorvegliare i monelli della finanza a Wall Street e raramente ci riesce. Inamovibile resta invece Valerie Jarrett, la piccola, formidabile avvocato di Chicago che da decenni è la musa, la baby sitter, l’anima ideologica del suo adorato Obama.
Questa sordità  di un presidente “diverso” al richiamo della “diversità ” si estende anche oltre il sesso, alla etnia, perché sparirà  dal gabinetto i segretario responsabile delle politiche energetiche, il cinese americano dr. Cho e sorprende che si manifesti in quella foto di gruppo senza signore proprio nell’anno in cui il Senato segna il record di presenze femminili. Ben venti senatrici elette nello scorso novembre, numero inauditi per un club di vecchi lupi bianchi, dove le donne erano sempre state al massimo tollerate.
Un’interpretazione maliziosa, ma molto tipica di una città  di gossip velenosi come Washington, vuole che questa improvvisa diffidenza dell’Obama Part 2 per le donne venga proprio da una donna, da quella Valerie Jarrett che funge da “perpetua” per il monsignore presidente e non vuole troppe altre sottane o tailleur pantalone attorno a quell’uomo, dovendo già  subire la presenza massiccia della First Lady Michelle con la quale non può permettersi di competere per ovvi motivi. Valerie è molto spesso l’ultima persona che il presidente vede, prima di ritirarsi negli appartamenti privati con la famiglia e la prima che incontra al risveglio, dopo la moglie.
Più cinicamente. La spiegazione di questo nuovo Obama Team molto virile si può leggere nella fine della sua carriera elettorale. Non dovendo più correre contro
nessuno, le scelte dei collaboratori non devono più rispondere a sondaggi, focus group e ricerche di consensi facili. A chi gli dovesse rimproverare i pochi incarichi importanti assegnati a quel 55% di donne che lo hanno sostenuto, il presidente potrebbe ricordare che è stato lui a portare alla Corte Suprema due giuriste, Elena Kagan e Sonya Sotomayor, portando a tre, a un terzo dei massimi magistrati costituzionali, la presenza femminile, come mai era stato nella storia. E mentre i ministri e i membri del governo tutti lavorano at the pleasure of the President, a sua completo gradimento con lettera di dimissioni firmata al momento della nomina alla quale il capo deve soltanto mettere la data, i giudici della Corte Suprema scrivono tracciano, inamovibili a vite, il cammino della società  americana.


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