Norvegia, un «emirato» del Nord che garantisce il welfare per tutti
Nuovi giacimenti con capacità produttiva stimata sui 15 milioni di barili scoperti negli ultimi mesi. Un ricco accordo siglato venerdì scorso che spalanca ai norvegesi il nascente mercato energetico dell’Islanda in faticosa risalita dopo il terremoto finanziario del 2008. Il progressivo intensificarsi dei movimenti nei porti per l’aumento di traffico sulla Via del Mare del Nord scavata tra i ghiacci in ritirata causa surriscaldamento planetario. Se il resto d’Europa annaspa nelle secche del debito, la Norvegia corre col vento in poppa (e il petrolio nelle stive).
Due milioni di barili di petrolio prodotti ogni giorno e oltre 5 miliardi di riserve note spiegano molto della favola nera norvegese, non tutto. Il gigante del Nord, 300 mila chilometri quadrati di selvaggia bellezza a cavalcioni del Circolo polare artico, deve la sua eccezionale solidità economica anche a una certa pratica saggezza sopravvissuta al travolgimento che in soli quarant’anni ha convertito il Paese di pescatori e cacciatori guardato con supponenza dagli ex dominatori danesi e svedesi in una potenza energetica, ottavo esportatore di petrolio al mondo, stabile ai primi posti nella classifica Onu per qualità della vita. Quella saggezza risparmiatrice che incanala i proventi di gas e petrolio nel sistema sociale di un «modello nordico» via via perfezionato dalla sinistra al governo per la maggior parte del secondo Dopoguerra (con caute iniezioni di deregolamentazione liberista da parte dei Conservatori negli anni Ottanta) ma che affonda le radici in una cultura dell’equità secolare documentata sin dal Medioevo, con un feudalesimo insolitamente morbido e un sistema di lavoro garantito per i poveri delle campagne più arretrate risalente al Trecento.
Il tesoro di idrocarburi scoperto con le prime esplorazioni di fine anni Sessanta ha garantito allo Stato un flusso costante di entrate che oggi supera i 40 miliardi di dollari annui e un surplus di bilancio che viene investito in un doppio Fondo sovrano soggetto a una rigida (e previdente) regolamentazione: la «handlingsregel» è la regola d’oro che stabilisce un tetto massimo del 4 per cento, oltre il quale non è possibile attingere al Fondo, così «conservato» quasi interamente per le future generazioni. Una formula che settori sempre più ampi della società vorrebbero rivedere e che sarà tra i temi caldi di questo anno elettorale. La coalizione rosso-verde guidata dal laburista 53enne Jens Stoltenberg e al governo dal 2005 ha fatto bene ma i sondaggi vedono favorito il centrodestra dei conservatori.
Altro concetto chiave per comprendere il caso Norvegia, «Omstille»: rinnovare e riorganizzare, che concretamente significa innovare nel settore strategico dell’energia conquistando nuovi mercati (è il caso del gigante statale Petoro che la scorsa settimana si è aggiudicato il 25 per cento di partecipazioni nelle licenze estrattive appena concesse dall’Islanda) e differenziando gli investimenti. Il Fondo sovrano ha recentemente ampliato le manovre sul mercato immobiliare europeo e investito pesantemente in bond sudcoreani, mossa che per gli analisti rivela una nuova strategia d’investimenti, più attenta all’economia reale che all’andamento dei mercati finanziari. Una scelta di solidità . «Omstille» significa anche tenere d’occhio le potenzialità di altre attività , come la tradizionale pesca. Con la tranquillità garantita dal fatto che le entrate dovute ai prezzi sempre alti del petrolio bilanciano i cali registrati in settori più esposti alle turbolenze.
Un modello che garantisce un’equa distribuzione di opportunità e ricchezze ha però un lato oscuro che riaffiora in film e romanzi, radiografie di una società insofferente, sottotraccia, alla parità e al successo condiviso deformati in uniformità imposta, violenza dissimulata, in controllo sociale e ortodossia culturale. E allora la diversità diventa eccezione, flussi d’immigrazione improvvisi possono generare inquietudine, l’aspra terra del sole di mezzanotte si dissolve in un’allucinazione che porta il segno di Ibsen e Munch. La Norvegia si è stretta in una dolorosa ricostruzione dei propri traumi profondi quando, il 22 luglio 2011, Anders Behring Breivik ha spezzato 77 vite nel giorno più sanguinoso della sua storia recente. All’indomani della strage, aprendo la stagione del processo e della pena collettiva e assicurando il rispetto della cultura nazionale di difesa dei diritti umani, il premier Stoltenberg fece una promessa che in fondo racconta lo sforzo di un Paese da generazioni: non perderemo noi stessi.
Maria Serena Natale
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