“Non si ride sul re” ma ora la Thailandia si ribella al divieto

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BANGKOK. In Thailandia, per finire dritto in carcere senza passare dal via, basta fare una velata critica al re dalle colonne di un giornale di opposizione. Ma anche far immaginare alla platea di un comizio che si sta parlando del sovrano, senza nemmeno nominarlo. Di più, bastano un paio di messaggini privati, finiti chissà  come sul tavolo di qualche giudice scrupoloso, nei quali ci si riferisce in maniera non esattamente rispettosa nei confronti della regina consorte. Perché in Thailandia il reato di lesa maestà  è una cosa seria. Troppo, dicono adesso oppositori e osservatori stranieri, turbati dalla sentenza shock a 11 anni di galera con cui è stato punito Somyot Pruksakasemsuk, un direttore di giornale vicino alle “Camicie rosse” anti-establishment. Il giornalista è stato ritenuto colpevole di aver diffamato la figura dell’anziano re Bhumibol Adulyadej, in un caso che conferma ancora una volta la tendenza di una diminuzione della libertà  di espressione nel Paese. Somyot, un attivista di 51 anni da tempo impegnato in battaglie progressiste, è stato condannato per due articoli; altri 12 mesi di detenzione gli erano stati comminati per una vecchia condanna per diffamazione, una pena sospesa e ora riattivata.
Ma certo non è andata molto meglio al popolare ex comico entrato in politica Yossawarit Chuklom, oggi consulente del Ministero del Commercio, che dovrà  scontare due anni di carcere per lesa maestà  pur non avendo nemmeno menzionato il nome del sovrano. È bastata un’allusione durante un comizio dell’autunno caldo 2010, un gesto inconfondibile dal palco delle Camicie rosse, che tentavano all’epoca di far cadere il governo dei democratici spalleggiati dalle Camicie gialle filo-realiste. Mentre parlava a migliaia di persone indicando i vip che difendevano il gabinetto “nemico” dei democratici di Abhisit Vejjajiva, l’attore ha prima nominato i militari e il capo del Consiglio della Corona, poi ha puntato il dito più in alto e si è messo le mani davanti alla bocca dicendo: «Non sono tanto coraggioso da dirlo, ma so a cosa state pensando tutti, così posso starmene zitto». Apriti cielo: per spiegare che si riferiva chiaramente al re, la Corte ha fatto sfilare decine di testimoni thailandesi presi a campione, ai quali è stata ripetuta la battuta chiedendo loro chi «ravvisassero» dietro quell’allusivo silenzio. Nessuno ha avuto dubbi nel dare la stessa risposta: il re. Lo stesso ex comico Yossawarit, che ha presentato appello contro la sentenza, si è inizialmente dichiarato colpevole, cercando così la grazia del sovrano come altri imputati dello stesso reato hanno fatto prima di lui, sia thai che stranieri.
Ma il caso più clamoroso è stato sollevato dopo la morte in cella di un camionista in pensione di nome Amphon Tangnoppakul, 62 anni, detto “Zio Sms”. «Si era visto contestato con 20 anni di arresti l’invio di 5 messaggini ritenuti offensivi verso la regina spediti dal suo cellulare. Nonostante le sue dichiarazioni d’innocenza per non saper nemmeno usare gli sms, gli è stato impedito di curarsi in ospedale un tumore. Ed è morto. Perché il re da queste parti è sacro. E, dicono i maligni, non è dotato del dono dell’ironia.


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