by Sergio Segio | 23 Gennaio 2013 8:58
Nell’Afghanistan “liberato” dagli integralisti Taleban e sotto occupazione internazionale, ancora si pratica la tortura. È quanto sostiene senza mezzi termini l’ultimo rapporto di Unama, la missione delle Nazioni unite a Kabul. A un anno dal primo rapporto sui detenuti nelle carceri afghane redatto dall’Onu, a pochi mesi dall’analogo rapporto dell’Afghanistan Independent Human Rights Commission e di Open society Foundation, Unama torna a investigare sul sistema penitenziario del paese centroasiatico. Il rapporto, come recita il titolo, riguarda i detenuti legati al conflitto che sono sotto custodia afghana, consta di 139 pagine fitte e si basa su una serie di interviste realizzate con 635 detenuti in 89 centri di detenzione in 30 delle 34 province afghane tra ottobre 2011 e ottobre 2012. Un anno di inchiesta tra gli istituti di pena gestiti dai diversi organi della sicurezza: polizia nazionale, polizia locale, esercito nazionale e servizi segreti (National Directorate of Security). Il risultato è netto, e parla di un paese dove, a dispetto della retorica sui diritti umani e sulla necessità di esportare la democrazia, la tortura è pratica corrente, anche su ragazzi di appena 14 anni: secondo i ricercatori delle Nazioni unite più della metà (326) dei 635 detenuti intervistati ha subito maltrattamenti e forme diverse di tortura nei 34 istituti gestiti dalla polizia nazionale e dai servizi segreti.
Negli istituti della polizia nazionale la pratica è perfino cresciuta rispetto all’anno scorso: oggi infatti la percentuale di detenuti che denunciano maltrattamenti è salita al 43% rispetto al 35 dei dodici mesi precedenti. Mentre negli istituti gestiti dai servizi segreti la percentuale è scesa, dal 46 al 34%. Tra questi, sono due i centri nei quali la tortura viene praticata sistematicamente: “Kabul 124”, una prigione che si trova nell’area di Shashdarak, a due passi dal Ministero della Difesa, dei quartieri generali dell’Isaf e dell’ambasciata americana, e la prigione di Kandahar. Secondo il rapporto, «fonti multiple hanno preoccupazioni condivise sul fatto che alcuni detenuti possano essere stati uccisi quando erano sotto custodia» a Kandahar.
Il quadro tracciato da Unama è dunque preoccupante, «molto preoccupante», secondo le parole usate da Jan Kubis, il rappresentante speciale in Afghanistan del segretario generale dell’Onu. Nel corso della presentazione del rapporto, domenica a Kabul, Kubis ha sottolineato che «molto rimane da fare per impedire la tortura», a dispetto degli «sforzi visibili e incoraggianti fatti dal governo afghano per affrontare questi abusi». Le dichiarazioni diplomatiche del rappresentante dell’Onu nascondono con difficoltà una realtà cruenta, fatta di strumenti di tortura diversi tra cui elettroshock, torsione dei genitali, sospensione per aria dei detenuti per i piedi o per le braccia, minacce, punizioni con bastoni e corde, violenza sessuale. Tutto lo strumentario che gli esportatori dei diritti umani imputavano con disprezzo al regime taleban, ereditato a quanto pare anche dai funzionari del nuovo governo Karzai. E in cui sono coinvolti anche gli “internazionali”: dei 79 detenuti catturati con il coinvolgimento delle forze Isaf-Nato, 31 sono poi stati torturati. Ha gioco facile l’analista Kate Clark, sul sito dell’Afghanistan Analysts Network, a dichiarare il fallimento del programma dell’Isaf inaugurato un anno fa – subito dopo la pubblicazione del primo rapporto Onu sui detenuti – per addestrare i funzionari afgani e monitorare i centri di detenzione. E appaiono rituali le risposte di Aimal Faizi, portavoce del presidente Karzai, secondo il quale «il governo non è implicato nei crimini contro i detenuti e la tortura e gli abusi non sono certo una nostra politica». I più smaliziati tra gli osservatori afghani ricordano invece che gli stranieri non possono impartire lezioni di legalità : secondo un rapporto di gennaio 2012 redatto dalla Commissione indipendente afghana per l’attuazione della Costituzione, ci sarebbero «molti casi di violazioni della costituzione afghana e di altre leggi sui diritti umani» nel Parwan Detention Center, la prigione gestita dagli americani nella base area di Bagram. La prigione di cui Karzai rivendica la sovranità , sulla base di un memorandum d’intesa firmato con Washington, e su cui Obama non vuole ancora mollare. Il rapporto dell’Onu gioca a favore del presidente degli Stati uniti.
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