Morsi s’affida all’esercito

Loading

Morsi si affida all’esercito, come in ogni fase critica. La Camera alta, che ha pieni poteri legislativi in seguito all’entrata in vigore della Costituzione, ha approvato il decreto che conferisce ai militari poteri speciali per l’arresto di civili. L’esercito potrà  operare in sinergia con le forze di polizia per proteggere edifici e siti che potrebbero essere presi di assalto dai manifestanti, come è successo lo scorso sabato alla prigione di Port Said, in seguito alle proteste per la sentenza di condanna a morte di 21 tra i responsabili della strage di un anno fa. Poteri di polizia erano stati assicurati all’esercito lo scorso giugno, all’indomani della cancellazione della legge di emergenza, in vigore da trent’anni, da parte della giunta militare. Dopo una durissima contestazione delle opposizioni, la legge venne cancellata dalla Corte costituzionale. Un secondo tentativo di approvare il provvedimento c’era stato alla vigilia del Referendum costituzionale dello scorso dicembre, ma solo con effetti temporanei. Già  domenica sera, in un discorso televisivo, Morsi aveva proclamato lo stato d’emergenza per trenta giorni nelle tre province, interessate dagli scontri dei giorni scorsi: Port Said, Suez e Ismailia. Nelle città  era già  stato imposto il coprifuoco tra le nove di sera e le sei di mattina. Morsi ha aggiunto di aver chiesto al ministero dell’Interno di «usare la forza necessaria contro chi attacca la sicurezza del popolo, chi usa armi, blocca le strade, lancia pietre contro innocenti». 
Cairo contro Port Said. A fomentare le violenze infatti sono le due tifoserie contrapposte dell’al-Ahly, vicino ai movimenti rivoluzionari, e del Masry, le aquile verdi, ritenute tra i responsabili della strage di Port Said, costata la vita a 74 ultrà  della squadra cairota dell’al-Ahly. «Port Said è una città  libera e coraggiosa, non si piegherà  e rifiuta di perdere i suoi cittadini ingiustamente», si legge in un messaggio su Facebook dei tifosi del Masry, che annunciano una nuova manifestazione questa notte. Ieri, nel quarto giorno consecutivo di scontri, che hanno avuto inizio con le celebrazioni per il secondo anniversario delle rivolte del 2011, un passante è stato ucciso da un colpo di arma da fuoco mentre si svolgevano tafferugli tra manifestanti e polizia in piazza Tahrir. Tra domenica e lunedì altre sette persone sono rimaste uccise in occasione dei funerali delle oltre 30 vittime del carcere di Port Said. Mentre sono già  300 gli attivisti arrestati nelle ultime ore.
In un clima di nuovo incandescente, le opposizioni mostrano il pugno duro. Venerdì torneranno in piazza al Cairo e in Egitto e rifiutano l’offerta di dialogo avanzata dal presidente islamista. All’indomani della sentenza che a Port Said ha provocato un bagno di sangue, Morsi ha teso la mano a tutti i leader di opposizione. Ma hanno risposto solo gli islamisti, i salafiti e i conservatori moderati. Invece, in un’affollatissima conferenza stampa nella sede del Wafd a Dokki, i principali leader del Fronte di salvezza nazionale, il liberale Baradei, il nasserista Sabbahi e l’ex diplomatico Moussa hanno declinato platealmente l’invito definendolo «poco serio» e «di facciata». Baradei ha parlato su Twitter di «tempo perso» riferendosi a qualsiasi tentativo di confronto con gli islamisti se non vengono realizzate tre richieste: la formazione di un governo di unità  nazionale, l’assunzione di responsabilità  da parte del presidente Morsi per le violenze dei giorni scorsi e la formazione di un comitato per la revisione della contestata Costituzione. Da parte sua, Sabbahi, leader della Corrente popolare, ha aggiunto il sostegno incondizionato alle manifestazioni di piazza, chiedendo le dimissioni del ministro dell’Interno per i quasi 50 morti dei giorni scorsi. Ancora una volta, gli islamisti, delegati dell’esercito, rispondono all’emergenza riproponendo il sistema di repressione degli anni di Mubarak.


Related Articles

Niger. Il golpe visto da vicino e i giorni dell’attesa

Loading

Visto da lontano, qui a Niamey dovrebbe esserci l’inferno o poco meno. Golpisti, ribelli, militari, possibilisti, massimalisti, filogovernativi e, in tutto ciò, il paventato intervento armato per ristabilire l’ordine democratico

In Giappone si conferma Abe, i suoi alleati perdono. E a sinistra torna l’unità

Loading

Il voto di domenica. Il Rikken minshuto a sorpresa ora è il secondo partito. Un risultato a galvanizzare l’opposizione contro la revisione costituzionale in senso militarista

MENO EGOISMO PIà™ EUROPA

Loading

“Attenti ai fantasmi del passato la crisi li sta risvegliando proprio ora ci serve più Europa” L’ex cancelliere Helmut Kohl: basta egoismi Il personaggio   Agli scettici ricordo gli enormi progressi fatti: la riunificazione tedesca e l’allargamento ai paesi dell’ex Cortina di ferro Dobbiamo guardare oltre l’orizzonte del nostro piatto: stare uniti ci ha portato la pace e reso più competitivi 

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment