by Sergio Segio | 14 Gennaio 2013 7:52
DETROIT (Michigan) — Più che un salone dell’auto, una celebrazione: quella del grande ritorno dell’industria automobilistica Usa, data per morta solo quattro anni fa e che invece ora rifiorisce, assume migliaia di operai, conquista quote in un mercato in espansione: 14,5 milioni di veicoli venduti l’anno scorso (+13%). Adesso qualcuno pensa che tornare ai 16 milioni del 2005, anno di vendite record, non sia più un sogno. Mai così stridente il contrasto con un’Europa nella quale il mercato va a picco (meno 10% nella Ue, addirittura meno 20 in Italia), coi produttori costretti ad affrontare il problema, a lungo accantonato, della sovraccapacità produttiva e dei troppi stabilimenti.
Che il clima da questo lato dell’Atlantico non sia più quello mesto, austero degli scorsi anni lo capisci prima ancora dell’inaugurazione del North American International Auto Show che si apre oggi a Detroit con le giornate riservate alla stampa. L’unica, vera novità del salone, il lancio più pirotecnico, è arrivata già ieri sera con la presentazione della C7, la settima generazione della «Corvette»: la Chevrolet sportiva che dal 1953 fa sognare gli americani, la gran turismo a portata delle tasche di chi è benestante ma non ricco.
Che la General Motors, tornata in testa nelle classifiche, punti su una vettura che non ha niente a che fare con le esigenze di base della famiglia americana e col risparmio energetico, reclutando una «testimonial» d’eccezione, l’esplosiva Beyoncé, per il lancio durante l’ormai imminente «Superbowl», la dice lunga sul cambiamento di clima e di prospettiva. Certo, il rischio è quello di ricadere nella «sindrome della cicala»: la crisi non è finita e le Case americane continuano a centellinare gli investimenti in innovazione. Dei 50 modelli che verranno presentati a Detroit, ben poche sono le novità assolute. Molti «restyling» mentre di idee rivoluzionarie in giro se ne vedono poche. E l’enfasi degli anni scorsi sulle vetture elettriche e su quelle «risparmiose» sembra svanita.
Un po’ è il riflesso di un’America che si sente più sicura del suo futuro di Paese energeticamente autosufficiente, un po’ la conseguenza del «flop» delle vetture «plug in»: in ripresa ma sempre deludente la «Volt» della GM, un disastro la «Leaf» elettrica della Nissan con 7 mila esemplari venduti in un Paese di 320 milioni di abitanti.
Il trionfalismo di Detroit va, insomma, preso con le pinze: dietro la patina di questo ritorno all’ottimismo e a un consumismo con meno freni inibitori, c’è la realtà di un’America in gran parte impoverita da una lunga recessione, assai sensibile agli aumenti del carburante. Così, anche se con meno enfasi, va avanti lo sforzo di alleggerimento dei veicoli: i nuovi modelli sono mediamente più piccoli, come la nuova Dodge «Dart» del gruppo Chrysler basata sulla piattaforma della «Giulietta».
Del resto che l’America non si sia affatto gettata alle spalle la crisi lo si capisce anche dagli stridenti contrasti che vedi a occhio nudo proprio qui, nella sua capitale automobilistica: dentro un Salone di Detroit ricchissimo che ha venduto ogni centimetro quadrato di spazio espositivo disponibile. Fuori una città che cerca di risorgere ma è ancora sull’orlo della bancarotta, col sindaco Dave Bing che rischia di essere commissariato dal governatore del Michigan.
Tra la «Corvette» di settima generazione, la Maserati che introduce qui la sua nuova «Quattroporte» e i giapponesi che hanno scomodato il «Cirque du Soleil» per presentare la berlina sportiva della Infiniti, a Detroit tiene banco, insomma, il tentativo di far tornare l’auto un oggetto del desiderio: quel ruolo di «status symbol» che negli ultimi anni le è stato scippato dalle tecnologie digitali, gli iPhone e i «tablet» di ultima generazione.
Così anche l’industria automobilistica scopre l’uso commerciale dei «social media»: per la prima volta il salone, il cui acronimo è Naias, ha una sua applicazione per gli «smartphone», mentre la GM ha creato su Facebook una pagina per la sua nuova «Corvette» ancor prima di presentarla alla stampa. E filmati di tutti i modelli visibili in «livestreaming» per avvicinare soprattutto i giovani. Vale per la «Corvette», che altrimenti rischia di attrarre solo la generazione del «baby boom» con le sue memorie dei film degli anni Sessanta e Settanta, delle corse di Paul Newman e Steve McQueen. Ma lo stesso sforzo lo faranno tutti i produttori.
Curiosamente, per cercare di attrarre di nuovo i ragazzi della generazione digitale, i produttori di auto devono accantonare le innovazioni tecnologiche più avanzate: dell’«auto che si guida da sola» si è parlato molto nei giorni scorsi al Ces, il salone dell’elettronica di Las Vegas, mentre qui il tema resterà sullo sfondo. Anche se alcune innovazioni parziali (come l’assistenza digitale in fase di parcheggio o il controllo della distanza negli incolonnamenti) sono già sul mercato, si evita di evocare il momento nel quale il computer sottrarrà all’automobilista il piacere dello stare al volante: al Salone è lecito parlare di guida assistita, ma l’espressione «pilota automatico» è messa al bando.
Può darsi che questo tentativo di «revival» della meccanica, nell’era dei sensori, si riveli velleitario. O che la cicala sia destinata a morire stecchita nella gelata di un’altra recessione o di un’altra crisi energetica. Ma per ora l’Europa ha di che riflettere sui due ingredienti di questa primavera automobilistica americana: da un lato una politica economica di Obama più orientata alla crescita, ma in un mercato che non era stato drogato eccessivamente con incentivi e rottamazioni e che, quindi, adesso ha bisogno di rinnovare un parco automobilistico oggettivamente invecchiato; dall’altro un intervento pubblico di salvataggio che ha tenuto in piedi le industrie, ma senza creare ostacoli politici alla chiusura degli stabilimenti irrecuperabili. Nel 2009, ai tempi della ristrutturazione, la cura americana sembrò troppo dura. Ma è stata digerita. Con sacrifici assai duri ma senza grandi tensioni sociali. E ora quello sforzo paga.
Massimo Gaggi
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