Maroni: senza di loro era sconfitta certa

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MILANO — Inutile piagnucolare. Inutile indignarsi. Inutile sognare. La verità  la enuncia Roberto Maroni nello spiegare l’accordo raggiunto nella notte con Silvio Berlusconi: «Andando da soli avrei soddisfatto quelli che hanno il mal di pancia. Ma ciò avrebbe portato a un’inevitabile sconfitta». Ridotto all’osso, il problema diventa di facile soluzione: la Lega è stata costretta all’alleanza con il Pdl per non perdere il premio grosso, il governo della Lombardia: «A chi mi dice “mai con il Pdl”, posizione legittima, ricordo che se fosse questa la linea, nei 400 Comuni in cui governiamo con il Pdl i sindaci dovrebbero dimettersi, così come i governatori di Veneto e Piemonte».
Certo: i social network e il web ribollono di messaggi indignati e di «mai più vi voterò». Ma il segretario leghista è convinto che riuscirà  a spiegare il suo messaggio. E i suoi sostenitori riferiscono un paio di sue frasi suggestive: «La sinistra ha provato per vent’anni a far fare un passo indietro a Silvio Berlusconi. A me è bastata qualche settimana». E poi: «Il Cavaliere mi sostiene in Lombardia, non si candida a premier ed accoglie l’Euroregione». Anche se l’impegno a non ripresentarsi come premier da parte del capo pdl è una delle parti meno certificate di tutto l’accordo con la Lega. Berlusconi ha candidato Alfano, Maroni ha ribattuto di essersi «permesso di fare il nome di Tremonti, ma è una mia indicazione per stima e amicizia personale». Dal canto suo, l’ex ministro all’Economia ha fatto sapere di non sentire Berlusconi «da mesi».
Per il resto, Roberto Maroni dipinge la Disneyland leghista, un’Euroregione del Nord in cui «il 75% delle tasse resterà  nei territori che le hanno versate». Il che «significa venti miliardi di euro all’anno». E pazienza se poco prima il segretario nazionale lombardo, Matteo Salvini, aveva parlato del doppio, 40 miliardi. Tali risorse, nelle promesse maroniane, serviranno per sforbiciare — anzi: cancellare — tasse odiatissime: «Abolizione dell’Irap e del bollo auto». E poi «interventi sull’Imu e sui redditi bassi».
Inoltre, se «Prima il Nord» deve essere, l’esempio lo darà  lui stesso per primo. Non soltanto Maroni non si candiderà  al Parlamento ma soltanto a governatore della Lombardia. Soprattutto, lascerà  la guida della Lega: «quando vincerò, voglio dare il via con la sostituzione del segretario della Lega, ad un vero cambio generazionale».
Insomma, il capo leghista cerca di suonare la carica a un movimento che, almeno per quanto riguarda i militanti, appare piuttosto disorientato. Il sostegno più importante, tuttavia, arriva. È quello dei due leader veneti, Flavio Tosi e Luca Zaia. Il segretario della Liga, infatti, in una nota scrive che «le motivazioni strategiche di questa nuova alleanza sono senz’altro più favorevoli alla Lega che al Pdl» e che l’accordo è «sicuramente vantaggioso anche per il Veneto». Mentre il «doge» Luca Zaia ritiene che il patto rinnovato sia «solidamente ancorato agli interessi del Nord: il 75% delle tasse della nostra Regione resteranno al Nord. Per i veneti significa porre fine al costante dissanguamento».
L’ultimo sospiro di sollievo Maroni lo tira al consiglio nazionale della Lega lombarda, dove viene accolto con un applauso e dove — soprattutto — riceve la benedizione di Umberto Bossi: «Bravo Maroni — ha detto il fondatore del movimento —, l’unica strada era questa. E se qualcuno non è d’accordo significa che non ha capito un ca… ». Concetto ripreso da un’intervista sulla Padania oggi in edicola: «Non potevamo perdere questa occasione. Avevamo il dovere di dire di sì. I patrioti, anche se sono circondati da nemici, non mollano sui grandi progetti». E Maroni «è stato capace di non farsi condizionare e di fare sintesi. Si è mosso bene»
Da oggi, si apre un’altra partita: quella delle candidature. Con ogni probabilità , molti dei parlamentari oggi più rappresentativi, da Gianni Fava a Davide Caparini, saranno candidati non più a Roma ma a Milano.
Marco Cremonesi


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