by Sergio Segio | 18 Gennaio 2013 5:18
Dopo due giorni di invettive contro la scelta di ristrutturare la fabbrica di Melfi chiedendo la cassa integrazione, Sergio Marchionne sbotta: «Io non faccio i panini. Faccio automobili. E per costruire le automobili ho bisogno delle linee, dei macchinari, dei robot. E per cambiare le linee, far nascere quelle nuove, ho bisogno di fermare la produzione. E’ una cosa normale no? Ho letto dichiarazioni oscene dei politici su questo. Ma forse non avevano capito di che cosa si stava parlando». L’ad del Lingotto si sfoga a Milano, a margine dell’incontro organizzato da Quattroruote sul futuro dell’automobile. L’annuncio della cassa integrazione per ristrutturazione a Melfi ha scatenato il putiferio, complice anche il periodo pre elettorale. Aggiunge il manager di Torino: «Qui in Italia noi della Fiat siamo diventati il football politico di tutti quanti. Politici che non hanno mai costruito una vettura in vita loro esprimono opinioni sulla qualità di quel che esce dalla fabbrica. Alcuni addirittura fanno classifiche sui motori scelti per i diversi modelli». Marchionne riconosce che «anche in America, per un piccolo periodo, siamo stati coinvolti nella campagna elettorale. Abbiamo risposto solo per difendere l’azienda. Ma è un caso strano, non succede mai».
L’altra stranezza è che in America ad attaccare la Fiat era la destra di Mitt Romney, in Italia sono soprattutto (ma non esclusivamente) i partiti di sinistra. Così l’amministratore delegato attacca Sel: «114 anni fa la Fiat c’era e la Sel e Fiom non c’erano». Immediata la replica di Giorgio Airaudo, ex segretario della Fiom e oggi candidato per Sel: «Da quando in Fiat ci sono gli operai, cioè dal 1901, c’è la Fiom».
La polemica di Mitt Romney contro la Chrysler riguardava il rischio che Detroit (anzi «gli italiani ») trasferisse in Cina la produzione della Jeep. In realtà , ha chiarito nei giorni scorsi Marchionne, «la produzione della Jeep cinese sarà aggiuntiva, non sostitutiva di quella americana». Ieri l’ad ha spiegato che «contiamo di produrre entro 18 mesi le prime 100 mila Jeep» in Cina. Per quanto riguarda gli stabilimenti italiani la promessa è che «entro tre-quattro anni si arriverà ad un pieno impiego dei nostri dipendenti ». Questo perché «da qui al 2016 porteremo in produzione nelle fabbriche italiane 17 nuovi modelli e 7 aggiornamenti». Dopo il lancio a Melfi dei due nuovi modelli di minisuv, il 30 gennaio Marchionne inaugurerà a Grugliasco, vicino a Torino, lo stabilimento che realizza la Maserati Quattroporte (presentata a Detroit) e la nuova berlina di lusso della casa del tridente. Qui la cassa integrazione dura da sette anni, da quando, prima dell’acquisto da parte della Fiat, i 1.000 dipendenti della ex Bertone (in gran parte iscritti alla Fiom) hanno difeso il futuro produttivo dello stabilimento.
La nuova Fiat che dovrebbe uscire da quello che Marchionne ha ormai deciso di non chiamare piano (anche solo per scaramanzia) è una Fiat molto diversa da quella del Novecento: «Ormai il 60 per cento del nostro mercato è in Nordamerica, l’Avvocato Agnelli sarebbe contento, era un suo sogno », dice il manager a dieci anni dalla scomparsa del nipote del fondatore della Fiat. E aggiunge: «Senza la sicurezza che ci deriva da Chrysler non avremmo mai potuto superare questa crisi evitando nuove chiusure di stabilimenti in Italia».
Source URL: https://www.dirittiglobali.it/2013/01/marchionne-su-melfi-parole-oscene-dai-politici/
by Sergio Segio | 18 Gennaio 2013 5:18
Dopo due giorni di invettive contro la scelta di ristrutturare la fabbrica di Melfi chiedendo la cassa integrazione, Sergio Marchionne sbotta: «Io non faccio i panini. Faccio automobili. E per costruire le automobili ho bisogno delle linee, dei macchinari, dei robot. E per cambiare le linee, far nascere quelle nuove, ho bisogno di fermare la produzione. E’ una cosa normale no? Ho letto dichiarazioni oscene dei politici su questo. Ma forse non avevano capito di che cosa si stava parlando». L’ad del Lingotto si sfoga a Milano, a margine dell’incontro organizzato da Quattroruote sul futuro dell’automobile. L’annuncio della cassa integrazione per ristrutturazione a Melfi ha scatenato il putiferio, complice anche il periodo pre elettorale. Aggiunge il manager di Torino: «Qui in Italia noi della Fiat siamo diventati il football politico di tutti quanti. Politici che non hanno mai costruito una vettura in vita loro esprimono opinioni sulla qualità di quel che esce dalla fabbrica. Alcuni addirittura fanno classifiche sui motori scelti per i diversi modelli». Marchionne riconosce che «anche in America, per un piccolo periodo, siamo stati coinvolti nella campagna elettorale. Abbiamo risposto solo per difendere l’azienda. Ma è un caso strano, non succede mai».
L’altra stranezza è che in America ad attaccare la Fiat era la destra di Mitt Romney, in Italia sono soprattutto (ma non esclusivamente) i partiti di sinistra. Così l’amministratore delegato attacca Sel: «114 anni fa la Fiat c’era e la Sel e Fiom non c’erano». Immediata la replica di Giorgio Airaudo, ex segretario della Fiom e oggi candidato per Sel: «Da quando in Fiat ci sono gli operai, cioè dal 1901, c’è la Fiom».
La polemica di Mitt Romney contro la Chrysler riguardava il rischio che Detroit (anzi «gli italiani ») trasferisse in Cina la produzione della Jeep. In realtà , ha chiarito nei giorni scorsi Marchionne, «la produzione della Jeep cinese sarà aggiuntiva, non sostitutiva di quella americana». Ieri l’ad ha spiegato che «contiamo di produrre entro 18 mesi le prime 100 mila Jeep» in Cina. Per quanto riguarda gli stabilimenti italiani la promessa è che «entro tre-quattro anni si arriverà ad un pieno impiego dei nostri dipendenti ». Questo perché «da qui al 2016 porteremo in produzione nelle fabbriche italiane 17 nuovi modelli e 7 aggiornamenti». Dopo il lancio a Melfi dei due nuovi modelli di minisuv, il 30 gennaio Marchionne inaugurerà a Grugliasco, vicino a Torino, lo stabilimento che realizza la Maserati Quattroporte (presentata a Detroit) e la nuova berlina di lusso della casa del tridente. Qui la cassa integrazione dura da sette anni, da quando, prima dell’acquisto da parte della Fiat, i 1.000 dipendenti della ex Bertone (in gran parte iscritti alla Fiom) hanno difeso il futuro produttivo dello stabilimento.
La nuova Fiat che dovrebbe uscire da quello che Marchionne ha ormai deciso di non chiamare piano (anche solo per scaramanzia) è una Fiat molto diversa da quella del Novecento: «Ormai il 60 per cento del nostro mercato è in Nordamerica, l’Avvocato Agnelli sarebbe contento, era un suo sogno », dice il manager a dieci anni dalla scomparsa del nipote del fondatore della Fiat. E aggiunge: «Senza la sicurezza che ci deriva da Chrysler non avremmo mai potuto superare questa crisi evitando nuove chiusure di stabilimenti in Italia».
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