Mali: la guerra continua, i rifugiati aumentano, i diritti umani svaniscono
Ma il numero dei potenziali rifugiati di guerra è destinato ad aumentare con il passare dei giorni andando a sommarsi ai 2.744 rifugiati maliani già arrivati nei paesi limitrofi dall’inizio dei combattimenti e delle incursioni aeree dello scorso 10 gennaio. Di questi, secondo l’Ufficio per il Coordinamento degli Affari Umanitari dell’Onu (Ocha), 1.411 sono fuggiti in Mauritania, 848 in Burkina Faso e 485 in Niger. Includendo nel calcolo anche le persone fuggite dal Mali dall’inizio della crisi risalente a un anno fa, il numero dei rifugiati maliani nei paesi della regione sale a 147mila, dei quali 55.221 in Mauritania, 52.875 in Niger, 38.776 in Burkina Faso, 1.500 (cifra stimata) in Algeria, 26 in Guinea e 20 in Togo. Allo stesso tempo circa 229mila persone sono sfollate all’interno dello stesso Mali.
Dal Mali il responsabile della comunicazione di Caritas Mali Gaston Goro, riferisce che gli interventi degli operatori sono “per il momento resi impossibili dalle difficili condizioni di sicurezza”, dovute alle operazioni militari in corso “che bloccano le strade e ci obbligano a essere prudenti”. A Mopti e Bamako gli addetti della Caritas maliana hanno già prestato cure e assistenza ai feriti, ma per le strade del Paese “sono migliaia i civili in fuga dagli epicentri dell’offensiva Konna, Diabali e Douentza al centro, Gao e Timbuctù al nord, che stanno varcando i confini con i vicini Niger, Mauritania, Burkina Faso e Algeria”. Sempre a Mopti anche Save the Children, presente in Mali da 25 anni con interventi di sviluppo e di emergenza a sostegno dei bambini e dello loro famiglie sta intensificando le attività di assistenza e supporto agli sfollati proprio a ridosso della linea del fronte militare.
Da Niamey la capitale del Niger, Amadou Tidjani, della Croce Rossa locale raggiunto dalla Misna, “conferma che a oggi quasi 60.000 rifugiati maliani si trovano in territorio nigerino, ma dall’inizio dell’offensiva militare – ha aggiunto Tidjani – non abbiamo ancora registrato arrivi di massa che crediamo possano verificarsi nelle prossime settimane” e potranno confluire nei cinque campi allestiti nelle regioni settentrionali del Paese. “Dall’inizio della crisi nel gennaio 2012 assieme al Programma Alimentare Mondiale distribuiamo cibo a chi è scappato dal nord del Mali, ma in tempi brevi prevediamo che la richiesta di aiuti aumenti man mano che entreranno nuovi rifugiati”. Intanto “Abbiamo urgentemente bisogno di riconquistare l’accesso a tutte le persone che hanno bisogno – ha detto Jurg Eglin, capo della delegazione regionale per Mali e Niger della Croce Rossa Internazionale -. Siamo particolarmente ansiosi di raggiungere le persone che sono ferite o malate, come anche i prigionieri”. Al momento la situazione è aggravata anche dalla diffusa crisi alimentare, “Per questo – ha concluso Eglin – è essenziale che le parti sul terreno garantiscano condizioni necessarie alla piena ripresa dell’intervento umanitario”.
Intanto la scorsa settimana in Burkina Faso un team di operatori Unchr ha visitato il punto d’entrata di Inabao, nella regione del Sahel, a pochi chilometri dal Mali, dove 256 rifugiati maliani avevano attraversato il confine nei giorni precedenti. Tra le ragioni alla base della fuga, secondo quanto hanno affermato dagli stessi rifugiati all’Unchr, “il recente intervento militare, la mancanza di mezzi di sussistenza e il timore di una rigida applicazione della Sharia. Dai racconti sono inoltre emerse testimonianze di esecuzioni e amputazioni e l’offerta di grandi somme in denaro alla popolazione civile per combattere contro l’esercito maliano e i suoi sostenitori. Tra i combattenti ribelli – sempre secondo quanto affermano i rifugiati – vi sarebbero bambini. Alcuni hanno anche riferito la scomparsa di famigliari”. Per l’Unchr i nuovi arrivati sono soprattutto donne e bambini Tuareg mentre i loro mariti e padri, “stanno cercando di raggiungere il paese a piedi, con l’aiuto di asini o utilizzando i trasporti locali. Molti stanno portando con sé il bestiame. Nonostante l’instabilità in Mali negli ultimi mesi – hanno aggiunto i rifugiati – le persone hanno ritardato la propria fuga dal Paese per consentire agli uomini di occuparsi delle attività economiche e del bestiame”.
Intanto oltre che in Burkina Faso l’esodo del popolo Tuareg in queste ultime due settimane ha coinvolto anche l’Algeria dove per l’Associazione per i Popoli Minacciati (Apm) “Circa la metà dei 25.600 abitanti Tuareg della città di Kidal nel Mali nordorientale sono fuggiti”. Ma l’accoglienza da parte dell’Algeria dei Tuareg purtroppo non è garantita poiché l’Algeria ha chiuso per motivi di sicurezza le proprie frontiere con il Mali dopo la sanguinosa vicenda dell’attacco al sito petrolifero algerino In Amenas. Le autorità algerine, infatti, temono che tra i profughi si possano nascondere anche membri delle milizie radicali-islamiche e che questi vogliano entrare nel Paese per vendicare la morte dei molti rapitori avvenuta durante il blitz della polizia algerina. “Molti profughi sperano quindi di riuscire a entrare anche illegalmente in Algeria visto che i 1.400 km di frontiera sono difficilmente controllabili – ha spiegato Apm – e di poter trovare accoglienza a Tamanrasset o in altre città dell’Algeria meridionale”.
 Ma i Tuareg sono in fuga perché temono attacchi aerei sulle città controllate da diversi mesi dal gruppo Tuareg di matrice islamica Ansar Dine o che l’esercito maliano, una volta riconquistata la città , si possa vendicare su tutta la popolazione Tuareg per le pesanti sconfitte militari dei mesi scorsi. La paura è fondata visto che in seguito alla sconfitta dell’esercito si sono registrate gravi aggressioni nei confronti di Tuareg anche nella capitale Bamako”.
Così, mentre le sorti dei rifugiati coinvolgeranno nelle prossime settimane sempre più i governi dei Paesi confinanti, Amnesty International assieme all’Associazione maliana dei diritti umani (Amdh) e alla Federazione internazionale dei diritti umani (Fidh) hanno chiesto alle forze belligeranti il “pieno rispetto del diritto umanitario internazionale” e la “protezione delle popolazioni civili” ottenendo, il 16 gennaio scorso, da parte della Corte Penale Internazionale l’avvio di un’indagine sui crimini di diritto internazionale commessi nell’ultimo anno di conflitto in Mali da tutte le parti coinvolte nel conflitto.
 Per Amnesty “
I Tuareg e i gruppi armati islamisti che hanno assunto il controllo del nord del Mali si sono resi responsabili di torture e uccisioni di soldati fatti prigionieri, stupri di donne e ragazze, arruolamento di bambini soldato e di attacchi e distruzioni di siti culturali e religiosi.
 
Le forze di sicurezza del Mali a loro volta, negli ultimi giorni, [come hanno testimoniato organizzazioni per i diritti umani, l’Associazione degli Arabi del Mali settentrionale “Al Carama” e rappresentanti Tuareg] hanno commesso violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario, tra cui le uccisioni extragiudiziali di civili tuareg, il bombardamento di un campo tuareg e l’abbattimento di capi di bestiame che per le popolazioni Tuareg è essenziale”.
 Come spesso accade anche in questa guerra, sia essa fatta per stroncare la minaccia dell’estremismo islamico o per assicurarsi le ricchezze del sottosuolo, a pagare saranno soprattutto i civili.
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