by Sergio Segio | 15 Gennaio 2013 8:56
PALERMO — È l’archivio dei «non so» e dei «non ricordo», dei silenzi e delle amnesie di quei funzionari dei servizi segreti che hanno indagato sulle uccisioni di Falcone e di Borsellino. È l’archivio dei ciechi, dei muti e dei sordi. L’archivio delle verità sepolte. Sui sopralluoghi a Capaci. Sugli avvistamenti in autostrada prima del 23 maggio 1992. Sul pericolo di attentati futuri. C’è anche il capitolo scabroso del falso pentito Vincenzo Scarantino e del suo depistaggio.
Sono 318 i documenti top secret finiti nella relazione conclusiva della commissione parlamentare antimafia sulle stragi, montagne di carta straccia e poi qualche atto che rivela qua e là tutte le reticenze degli apparati di sicurezza, analisi senza influenza diretta sulle investigazioni e alcuni fogli che dimostrano la memoria corta degli 007 sul campo o al contrario — come nel caso dell’inchiesta taroccata sugli assassini di Paolo Borsellino — una «frenesia» molto sospetta. Questi documenti — che provengono dall’Aise, l’ex Sismi, il servizio segreto militare, e dall’Aisi, l’ex Sisde, il servizio segreto civile — sono stati richiesti dalla procura di Caltanissetta e dall’Antimafia e ancora oggi sono «coperti». Siamo riusciti a conoscere il contenuto dei più rilevanti, quei pochi con dentro qualche notizia che ha allarmato i magistrati nisseni. Il presidente Beppe Pisanu ha definito questo materiale «un carteggio piuttosto disomogeneo», il procuratore Sergio Lari nella richiesta di revisione del processo Borsellino li ha giudicati (alcuni) «inquietanti», denunciando «il totale oblio da parte di diversi protagonisti». Cioè i capi dei servizi di stanza in Sicilia nell’estate ‘92.
Dopo vent’anni di misteri, ecco cosa hanno trasmesso sulle loro attività d’indagine.
Un appunto del 25 maggio ‘92, due giorni dopo Capaci, riferisce che la Direzione del Sisde di Roma aveva inviato una squadra a Palermo per un sopralluogo. Da un altro
appunto si deduce che quell’ispezione aveva l’obiettivo «di fare un prelievo di materiale roccioso, da sottoporre a successivo esame chimico esplosivistico». I risultati della missione sono ancora oggi ignoti. Nessuno ne ha mai saputo nulla. Neanche il vice capo centro del Sisde a Palermo in quegli anni, L. N., che ai magistrati ha risposto: «Fu il generale C., vice direttore pro tempore del nucleo tecnico scientifico, a inviare dei tecnici subito dopo la strage di Capaci, per effettuare un sopralluogo. Questo invio di tecnici noi lo subimmo, unitamente al capo centro R. e in merito a tale attività non fummo mai messi al corrente dei motivi e dei risultati».
Informativa del 28 maggio 1992 (protocollo 1495/z. 3068) spedita dal centro Sisde di Palermo alla Direzione di Roma. Oggetto: «Progetto di attentato in persona del dottor
Paolo Borsellino». Sono passati solo cinque giorni da Capaci e i servizi avevano già la notizia, da «fonte confidenziale» ben informata, che Cosa Nostra aveva in programma di uccidere il procuratore. Fu mai comunicata questa notizia all’autorità giudiziaria? Sempre il vice capo centro del Sisde di Palermo L. R ai magistrati: «Ritengo sia una nota sviluppata dall’agenzia di Trapani, all’epoca diretta dal dottore G. e nulla so dire in merito».
Nota inviata dal centro Sisde di Palermo alla direzione di Roma il 24 maggio 1992 (protocollo 1445/z. 8448) e con oggetto una telefonata anonima di un camionista, «che riferiva di aver notato la sera del 22 maggio ‘92 un furgone fermo sulla corsia di emergenza» all’altezza dello svincolo di Capaci. Chi aveva telefonato? Qualcuno ha mai indagato? Chi era il camionista? Il 9 dicembre, gli 007 di Palermo acquisiscono un’altra informazione «circa la presenza di due individui sulla carreggiata dell’autostrada Punta Raisi Palermo, il giorno precedente l’attentato di Capaci». Dal centro Sisde di Palermo parte per la Direzione di Roma la nota (protocollo 3417/z.8448) ma non si conosce a chi altro è stato indirizzato l’avviso. È con molta solerzia invece che dal Sisde vengono fatte arrivare alla magistratura, il 24 maggio e il 4 agosto del 1992, due dettagliate segnalazioni ( protocollo 1446/z.3448 e 2214/z.3068) con le quali s’ipotizzava — su base di mere congetture — il coinvolgimento del clan Madonia nelle stragi Falcone e Borsellino, due note firmate da Bruno Contrada, il coordinatore
del gruppo d’indagine dei Servizi sulle stragi che pochi mesi dopo sarà arrestato per concorso in associazione
mafiosa.
Il documento più inquietante resta quello in cui il Sisde di Palermo annuncia alla direzione (protocollo 2298/z. 3068), già il 13 agosto 1992, imminenti novità «circa gli autori del furto della macchina ed il luogo ove la stessa sarebbe stata custodita prima di essere utilizzata nell’attentato». È la vicenda del falso pentito Enzo Scarantino, l’uomo che si è autoaccusato della strage di via D’Amelio trascinando con sé una mezza dozzina di innocenti. Con un’altra nota (protocollo 2929/z. 3068) il 19 ottobre il centro Sisde informa non solo Roma ma anche la Questura di Caltanissetta sulle parentele mafiose «importanti » di Scarantino. Un falso. Per avvalorare la pista imboccata sul pentito bugiardo.
Scoperto il depistaggio, molti anni dopo i procuratori di Caltanissetta chiederanno conto al capo centro Sisde di Palermo di quelle due note. La risposta di R.: «La firma potrebbe essere la mia». Poi, precisa di non ricordare bene il contenuto di quelle segnalazioni, «ma escludo di aver acquisito personalmente le informazioni ivi contenute poiché non vantavo all’interno delle strutture investigative territoriali una forza di penetrazione di siffatta portata». Potrebbe. Non vantava. Escludendo. Che sicurezza hanno garantito i servizi di sicurezza a Palermo? Tutto qui il loro archivio sulle stragi?
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