«Viaggio nell’Italia dei beni comuni», un libro collettivo

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È la prima volta che leggo direttamente in rete un libro, che nella sua composizione, caratteristiche di costruzione, modalità  di distribuzione, aderisce così profondamente allo spirito del suo oggetto: i beni comuni. Il testo è quello curato da Paolo Cacciari, Nadia Carestiato e Daniela Passeri, Viaggio nell’Italia dei beni comuni.Rassegna di gestioni condivise (Marotta & Cafiero, pp. 246 consultabile in rete creativecommons.org).
Infatti, come dichiarano sin dall’inizio i curatori, «Questo libro è una produzione dal basso… è autoprodotto dai lettori », liberamente consultabile e scaricabile, come un bene comune che sia veramente tale, ed è anche pienamente utilizzabile, trasferibile, distribuibile da qualunque lettore. Esso appartiene a tutti e il suo uso collettivo non lo deprezza, né lo consuma. Il suo stesso contenuto corrisponde in altro modo al tema, perché «non è un libro: è una scatola aperta, un contenitore di esempi eterogenei di gestione comunitaria di beni di interesse collettivo». Esso cioé riflette nella sua stessa concezione e composizione il carattere molteplice, vario, polimorfo con cui i beni comuni si presentano alla nostra esperienza. Una esperienza che in Italia va crescendo e porta alla scoperta di sempre nuovi spazi e realtà  in cui i beni comuni si vengono configurando.
Il libro dunque è un vero viaggio in Italia, che parte da Oriente, da dove sorge il sole e prosegue verso Occidente. Ed esso incontra nel suo itinerario una varietà  davvero sorprendente di esperienze, molte delle quali sconosciute ai più. Molto opportunamente, prima della partenza, i curatori hanno distribuito un «libretto di istruzioni» per comprendere meglio le tappe dell’itinerario: è l’articolo introduttivo di Alberto Lucarelli – un giurista protagonista della grande battaglia referendaria per l’acqua pubblica – che fornisce alcune riflessioni fondative sul concetto di beni comuni. Lucarelli smonta il carattere ideologico della nozione di sovranità  popolare – dietro cui agiscono anche gruppi e poteri privilegiati – e mette anche in luce l’insufficienza della Carta costituzionale nel garantire il processo di democratizzazione del diritto pubblico negli ultimi decenni. La progressiva demolizione dello stato sociale, il depauperamento delle risorse collettive, la privatizzazione del patrimonio pubblico rendono necessaria una messa in discussione del regime proprietario così, come esso si è configurato e la fondazione di una «teoria che parta dalla comunità , dai diritti, per arrivare ai beni e non viceversa.».
Il viaggio inizia a Riace, nella Calabria jonica, dove da alcuni anni la comunità  locale, trascinata da Mimmo Lucano – un sindaco di straordinario coraggio e generosità  – ha invertito e capovolto la tendenza razzista e securitaria con cui tanta Italia ricca si è rivolta alle comunità  degli immigrati. A Riace – come poco dopo anche a Caulonia e Stignano, Monasterace e Benestare, sempre sulla stessa costa calabrese – gli immigrati sono stati accolti, ospitati nelle case abbandonate dei borghi, aiutati a far rifiorire antichi mestieri artigiani. Come racconta Giovanni Maiolo nella sua testimonianza, i gruppi di extracomunitari che vivono a Riace – con non poche difficoltà , vista la cronica scarsità  di lavoro – ricevono anche una limitata assistenza da parte del Ministero dell’Interno attraverso i Care (Centri Collettivi di Attesa per i Richiedenti Asilo). Ma i soldi ministeriali arrivano tardi, mentre le donne, i bambini, gli uomini devono nel frattempo vivere. Così sono state coniate delle monete locali, con su stampate le facce di Che Guevara, Gandi, Luther King, grazie alle quali – in virtù degli accordi stabiliti dal comune con i negozianti – gli immigrati possono acquistare i beni necessari alla vita in attesa che arrivino i soldi veri. Qui i nuovi ospiti, non solo sono aiutati a sopravvivere, nelle terre fra le più povere del nostro opulento Paese, ma grazie a una modifica dello Statuto comunale godono di una cittadinanza piena: hanno anche diritto di voto, diversamente da quanto accade nel resto d’Italia. È giusto ricordare, come fa Anna Maria Graziano nel suo saggio sempre dedicato a Riace, l’aiuto che a questo e ad altri comuni è stato dato dalla Rete dei Comuni Solidali (ReCoSol) coordinato da Chiara Sasso, che continua a prodigarsi in iniziative culturali e a tessere la tela dei legami fra le comunità  e le istituzioni. Ma che cosa lega l’esperienza di questi comuni e di Riace , del suo sindaco – sulla cui porta sta scritto «il sindaco riceve sempre» – con il tema dei beni comuni ? Il legame è molteplice. Come spiega sempre la Graziano « I beni territoriali sono stati considerati come beni comuni. Ma il territorio ha anche una dimensione immateriale profonda, che riguarda l’identità , la conoscenza e i saperi tradizionali, la cultura dell’accoglienza e dell’integrazione, la bellezza».
Il viaggio attraversa poi territori disparatissimi e stazioni di transito molteplici di cui è impossibile dar conto. Si va dal bene «comune libro» (I. Bonadies e R. Esposito La Rossa) all’ acqua potabile a Napoli (R.Briganti): dall’autoricostruzione comunitaria di Pescocontanzo, dopo il terremoto che ha devastato l’Aquila (F. Tronca) alla Laguna di Morano, in Friuli (N.Carestiato) soggetta da secoli ad uso civico; dall’ esperienza innovativa e carica di significati generali del Teatro Valle occupato (U. Mattei), ai terreni sottratti ai boss mafiosi in Sicilia (F. Forno); dalle forme di proprietà  collettiva di cui fanno esperienza da secoli alcune comunità  delle Alpi e degli Appennini (D.Strazzaboschi e B. Mariotti), sino ad esperienze recenti di pratiche comunitarie, come il condominio in cohousing a Fidenza (D.Passeri) e la comunità  «Spiazzi Verdi alla Giudecca» nel cuore di Venezia (Eliana Caramelli). Alla fine di una così lunga e varia peregrinazione si ha l’impressione di aver visitato un Paese diverso da quello che i media ci rappresentano con monotona e uniforme insistenza. Sotto la superficie dell’ Italia devastata dalla pacchiana versione nazionale del neoliberismo dell’epoca, si intravedono mutamenti molecolari che sembrano prefigurare, se non nuovi assetti sociali, certamente nuovi modo di vivere, di costruire relazioni, nuove forme di tessitura di quella trama che fa la felicità  possibile sulla terra che è lo stare insieme in modo solidale.


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