L’ultima roccaforte dei miliziani islamici in mano ai francesi

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PARIGI — «La mission est remplie», dice il ministro francese della Difesa Jean-Yves Le Drian con espressione da brivido che ricorda il mission accomplished di George W. Bush.
Il 1° maggio 2003, neanche un mese e mezzo dopo l’attacco a Bagdad, il presidente americano sulla portaerei Lincoln annunciò la fine delle «maggiori operazioni di combattimento», ma le truppe americane riuscirono a lasciare l’Iraq solo otto anni e 4500 morti dopo. Con la riconquista di Kidal, il terzo importante centro del nord, la Francia si trova oggi in una situazione simile: a neanche tre settimane dall’inizio della sua guerra lampo in Mali gli obiettivi immediati sono raggiunti. Ma le vere difficoltà  devono ancora arrivare.
Sotto l’aspetto militare, la campagna di Hollande per adesso è un successo, come lo stesso presidente non ha mancato di sottolineare («Stiamo vincendo la battaglia»). Con il relativo aiuto dell’impreparato esercito maliano, dall’11 gennaio a oggi le truppe francesi hanno prima fermato l’avanzata degli islamisti verso la capitale Bamako a sud, poi hanno contrattaccato verso nord entrando senza difficoltà  a Timbuctù e Gao, dove negli ultimi 10 mesi i ribelli jihadisti avevano instaurato la sharia con le conseguenti violenze, lapidazioni e amputazioni. Ieri sera l’esercito francese era bloccato nell’aeroporto di Kidal da una tempesta di sabbia ma anche l’ultima città  strategica del nord è ormai nelle mani della Francia e dei tuareg del Mnla (Movimento nazionale di liberazione dell’Azawad) e del Mia (Movimento islamico dell’Azawad), che hanno abbandonato l’alleanza con gli islamisti di Ansar Dine.
Sotto l’aspetto politico, la Francia gode del sostegno dell’Europa (armi e soldati per adesso non sarebbero serviti poi a molto), degli Stati Uniti (che potrebbero stabilire dei droni nel vicino Niger) e dell’Algeria: il catastrofico intervento delle forze speciali algerine alla centrale del gas e il massacro che ne è seguito non sono stati criticati perché l’appoggio di Algeri è fondamentale, e dopo anni in cui il presidente Bouteflika si è accontentato di respingere i jihadisti verso sud d’ora in poi l’Algeria potrebbe svolgere un ruolo più convinto.
La comunità  internazionale (Europa, Unione africana, Giappone, Stati Uniti e Onu) riunita due giorni fa ad Addis Abeba ha stanziato 338,6 milioni di euro di aiuti al governo di Bamako in vista di una prossima ricostruzione: il presidente Dioncounda Traoré, succeduto al colpo di Stato dei militari, promette di organizzare elezioni entro il 31 luglio.
Ma, appunto, questo è stato solo l’inizio. Dopo l’avventato assalto contro la città  di Konna che provocò l’intervento francese, gli islamisti non sono così folli da affrontare l’aviazione e i carri armati in campo aperto, e quindi attuano una ritirata strategica in vista di azioni di guerriglia, sul modello afghano e iracheno. «Finora la Francia ha neutralizzato circa 200 combattenti nemici, ma il grosso delle forze ribelli è intatto. Circa 2500 uomini che si nascondono in attesa di riarmarsi», dice l’esperto Mathieu Guidère. Gli islamisti si sono rifugiati a nord di Kidal, nel massiccio di Ifoghas, non lontano dal confine dell’Algeria, e aspettano. È la Francia che ha fretta di rimpatriare le truppe: loro, come sempre, giocano sui tempi lunghi.


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