«Soltanto teoremi» La reazione degli accusati

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Mettendoli sullo stesso piano dei boss di Cosa Nostra nel presunto attentato al corpo dello Stato.
Amareggiati, e controllati a vista dagli avvocati, anche gli altri imputati evitano il più possibile commenti. A cominciare dall’allora ministro dell’Interno, Nicola Mancino, divenuto oggetto del duro scontro istituzionale tra la procura di Palermo e il capo dello Stato per quelle telefonate intercettate in cui l’ex presidente del Senato si lamentava dell’inchiesta con il Quirinale. Per lui l’accusa è rimasta intatta: favoreggiamento. Come la sua versione dei fatti: «Ho servito lo Stato, e se altri non l’hanno ben servito io non c’entro e non posso entrarci». «Non ho mai saputo di trattative», «mai saputo nulla di propositi di allentamento del carcere duro». «Proverò la mia lealtà ». Oggi sarà  il momento giusto per farlo. È prevista l’arringa del suo difensore Massimo Krogh (avvocato di Dell’Utri in altri procedimenti) per confutare la tesi dell’accusa: la nomina di Mancino, in sostituzione dell’ex ministro Enzo Scotti, fu propedeutica ad allentare il regime di 41 bis applicato ai boss dopo l’attentato a Giovanni Falcone.
«Un teorema senza prove», l’ha sempre ritenuto l’ex vicepresidente del Csm che ha assicurato: «Non ho segreti, se ne avessi li avrei già  svelati. Non conosco verità  inconfessabili». In difesa di Dell’Utri, che secondo i pm subentrò all’ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino nell’ultima parte della trattativa, ieri hanno parlato i legali Giuseppe Di Peri e Pietro Federico: «Peccato che per i suoi rapporti con la mafia dopo il ’92 Dell’Utri sia stato assolto con sentenza ormai definitiva». I difensori del colonnello del Ros De Donno parlano di «ricostruzione storica parziale dei pm che non tiene nemmeno conto di quanto emerso nel processo Mori». Quest’ultimo contesta la relazione Pisanu in Antimafia: «Dati basati esclusivamente su deduzioni, per quanto mi riguardano costellati da affermazioni non vere, o inesatte o tendenziose, e in alcuni casi del tutto fuori dalla realtà ».


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È imploso il Pdl, con la formazione di nuovi gruppi parlamentari. Letta ha trionfalmente affermato che dalla scissione il governo esce più forte, sostenuto da una maggioranza numericamente ridotta, ma più coesa. Un vero paradosso: la frantumazione produce stabilità e governabilità. Dubitiamo che Ncd sia per il premier un compagno meno riottoso.

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