by Sergio Segio | 19 Gennaio 2013 7:55
WASHINGTON — Il guercio punta al conflitto globale. Ecco come si spiega il prezzo impossibile fissato da Mokhtar Belmokhtar, detto «il guercio», per liberare due ostaggi americani. Washington, è la richiesta, deve rilasciare lo sceicco egiziano Omar Abdel Rahman e la pachistana Aafia Siddiqui, due icone islamiste.
«Il guercio» ha ambizioni transnazionali, da jihadista vero, che non riconosce confini e Stati. Punta ad un conflitto globale. Si spiega così il prezzo impossibile fissato da Mokhtar Belmokhtar, detto appunto «il guercio», per liberare due ostaggi americani. Se Washington li vuole, ha fatto sapere, deve rilasciare lo sceicco cieco egiziano Omar Abdel Rahman e la pachistana Aafia Siddiqui. Due icone islamiste. Un modo per Belmokhtar di conquistare consensi in Nord Africa e in Oriente sposando la causa di personaggi per i quali si sono mobilitate piazze e leader. Vorrà dire qualcosa se, nel suo primo discorso, il presidente egiziano Morsi ha speso parole per sollecitare la liberazione dello sceicco. Ancora più duro Ayman Al Zawahiri che ha suggerito i rapimenti di stranieri per proporre lo scambio. Ci provano pur sapendo che la risposta degli Stati Uniti è negativa: «Non trattiamo con i terroristi», hanno ribadito ieri.
La mossa di Belmokhtar è in linea con la sua lunga storia di militante che si è dipanata dal ventre dell’Algeria fino all’Afghanistan. Andato giovanissimo a combattere i sovietici, Belmokhtar è tornato in Algeria portandosi dietro la menomazione all’occhio sinistro e qualche legame. Dimissionato più volte dai capi gelosi delle sua forza, Belmokhtar ha retto grazie alla base di potere personale. I sequestri degli occidentali e i traffici (armi, droga, sigarette) gli hanno portato palate di denaro. I legami con tuareg e popolazioni nel Sahel gli hanno garantito supporto. I rapporti sotterranei con alcuni governi africani gli hanno permesso di navigare in un’area difficile. Le armi acquistate a più riprese in Libia hanno portato un buon arsenale alla sua falange, «quelli che si firmano con il sangue». Una realtà temuta perché fin dal 2002 ha cercato di avere un filo diretto con la casa madre qaedista. Un link contestato da alcuni esperti e confermato da altri, convinti che le notizie sui viaggi di emissari nel Sahel siano fondate. Di sicuro Belmokhtar ha tenuto conto dei consigli di questi anni.
Colpendo il sito della Bp, i terroristi hanno attaccato un bersaglio che simboleggia lo sfruttamento delle risorse energetiche da parte dell’Ovest. Proprio uno dei target consigliati, nel tempo, da Osama e Al Zawahiri. Un piano affidato da Belmokhtar a Lamine Muhamad Bouchanab, un militante che sarebbe stato ucciso a In Amenas. Sempre in sintonia con la vecchia guardia è la richiesta di rilascio dei due prigionieri. Abdel Rahman, arrestato a Brooklyn dopo il primo attentato alle Torri Gemelle (1993), è una guida spirituale molto ascoltata della Jamaa Islamya. Una stella dell’integralismo le cui cassette sono ascoltate a Islamabad come a Milano. Più controverso il profilo di Aafia Siddiqui, «Lady Al Qaeda». Quarantenne, ex studentessa al Mit di Harvard, laureata, sposata ad un nipote della mente dell’11 settembre, madre di 3 figli, è stata accusata di far parte di Al Qaeda e per questo condannata a 86 anni di galera. Sospettata di far ricerche su sostanze tossiche, coinvolta (forse) nello smercio di pietre preziose per l’autofinanziamento, è scomparsa verso la fine del 2002. Arrestata, è stata rinchiusa nella prigione di Bagram (Afghanistan), dove era conosciuta — sembra — come il «prigioniero 650». Per i suoi familiari, invece, è una vittima innocente.
Due biografie perfette per il piano di Belmokhtar che, secondo un testimone, avrebbe guidato personalmente gli assalitori. Presenza possibile anche se sembra strano abbia rischiato una pallottola. Il «principe» del Sahel, convinto di poter andare molto lontano, ha sempre evitato le trappole. Almeno fino a ieri.
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