by Sergio Segio | 12 Gennaio 2013 15:23
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L’orologio è rimasto fermo all’ora del disastro: le 10 e 46. Danneggiato in più punti, pendeva dal muro della mensa operaia sventrata dal tornado del 28 novembre scorso. Non scandiva più i tempi del pasto, le pause, agli impianti marittimi dell’ILVA di Taranto. Era, però, diventato testimone silenzioso della furia con la quale il vento si è abbattuto sulla fabbrica, danneggiando mezzi e impianti; uccidendo, proprio al porto, un gruista di 29 anni: Francesco Zaccaria.
I colleghi di Francesco hanno raccolto l’orologio, incastrato fra quel che resta di due pezzi di lamiere, conservandolo negli uffici del terzo sporgente, l’area marittima dell’ILVA quasi distrutta dal tornado. Anziché finire tra i rottami, col passare dei giorni, ha acquistato un significato importante per i gruisti che scaricano le materie prime necessarie agli altoforni dalle navi.
Francesco Zaccaria è scomparso in mare, trascinato dal vento mentre si trovava all’interno della cabina di una gru. Il suo corpo è stato recuperato solo il primo dicembre, tre giorni dopo la sciagura. La magistratura ha aperto un’inchiesta, la gru è sequestrata. Una cosa sola è certa: il giovane operaio era lì a quaranta metri da terra, “aggrappato” al suo lavoro che solo due giorni prima aveva temuto di perdere.
L’ILVA, infatti, dopo gli arresti e i sequestri giudiziari del 26 novembre scorso nell’inchiesta sul disastro ambientale, aveva messo in libertà oltre cinquemila dipendenti dell’area “a freddo” (impianti marittimi compresi), ritirando il provvedimento dopo lo sciopero del 27 novembre.
Qualche giorno fa un collega e amico di Zaccaria, Mauro Liuzzi, sindacalista e consigliere comunale di Grottaglie, centro in provincia di Taranto, ha proposto al sindaco del suo paese, insieme ai compagni di squadra di Francesco, di chiedere all’ILVA la consegna dell’”orologio della memoria”. A Grottaglie è in costruzione un monumento ai caduti sul lavoro. Liuzzi e gli altri operai ritengono simbolica la presenza dell’orologio nel monumento, anzi: pensano sia esso stesso monumento perché testimonianza dell’incidente mortale e di tutti gli altri infortuni sul lavoro.
Non c’è un dato che fornisca il numero esatto di operai deceduti all’interno dello stabilimento siderurgico dalla sua nascita, nel 1960. Nel libro “Generazione ILVA”, il giornalista Tonio Attino confronta le cifre ufficiali dei primi tredici anni di attività della fabbrica con quelle pubblicate dagli organi d’informazione, rilevando una differenza assai ampia. Dal 1960 al 1963, ufficialmente, spiega Attino, sono morti 71 operai; sui quotidiani, contando le vittime dalla costruzione dello stabilimento, si arriva a 286. Una media di 26 all’anno, due al mese.
Dal 1993 a oggi il lavoro insicuro ha ucciso 45 persone all’ILVA. La privatizzazione, il passaggio alla famiglia Riva, cade nel 1995. Dal 2008, data dell’ultimo incidente mortale, vittima un operaio polacco delle aziende dell’appalto, non si sono registrati più decessi all’interno dello stabilimento siderurgico. In un mese, dal 30 ottobre al 28 novembre 2012, sono morti due lavoratori. Prima del tarantino Francesco Zaccaria è morto il brindisino Claudio Marsella, operaio 29enne del reparto movimentazione ferroviaria schiacciato tra i respingenti di una motrice e di un vagone durante le operazioni di aggancio
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