by Sergio Segio | 3 Gennaio 2013 9:42
Ieri un’altra strage di civili denunciata dall’opposizione. Si combatte per il controllo di un aeroporto militare nella zona di Idlib. Appello per James Foley, cronista Usa rapito Non passa giorno senza l’annuncio di nuove stragi di civili in Siria. Le denunciano i ribelli, i media statali le smentiscono o le attribuiscono ad attentati compiuti da «terroristi». La credibilità delle fonti locali rimane uno dei punti più critici della guerra civile siriana. Ieri, secondo immagini e informazioni messe in rete dall’opposizione al regime del presidente Bashar Assad, almeno 30 civili sono rimasti uccisi in un raid aereo compiuto dall’aviazione governativa lungo la strada che collega Mliha e Zibdin, due sobborghi a est di Damasco. Il bombardamento avrebbe preso di mira un gruppo di automobili in sosta nei pressi di una stazione di benzina. Poco dopo sono apparse in internet le immagini dei presunti corpi delle vittime, tra cui bambini, ridotti in brandelli, altri carbonizzati e intrappolati nelle lamiere dei veicoli. Poco prima, sempre secondo i ribelli, i membri di due intere famiglie erano stati uccisi in un bombardamento con «barili-bomba sganciati da velivoli militari» mentre si trovavano nei pressi di una panetteria, a Muaddamiya, ancora alla periferia di Damasco.
L’unica certezza è il bagno di sangue che non si arresta, in mancanza di una soluzione politica della crisi che non sembra volere la leadership Coalizione delle forze di opposizione, convinta di poter abbattere il regime con la forza. Per le Nazioni Unite sono quasi 60 mila i siriani morti dall’inizio del conflitto. Lo ha reso noto l’Alto commissario Onu per i diritti umani Navi Pillay citando un rapporto «esaustivo» preparato dall’Onu. «Non essendosi fermato il conflitto dalla fine di novembre 2012, possiamo desumere che agli inizi del 2013 i morti abbiano superato quota 60 mila. È un numero scioccante», ha aggiunto Pillay. Le cifre delle Nazioni Unite sono molto più alte di quelle fornite dalla stessa opposizione siriana che riferisce un bilancio tra 34mila e 39mila vittime delle violenze in Siria nel 2012, anno più insaguinato del 2011 quando a marzo ebbe inizio il conflitto interno. In totale nei venti mesi di scontri e bombardamenti sono morte dalle 39mila alle 45mila persone, a seconda del conteggio delle diverse organizzazioni. Il bilancio più grave è quello dell’Osservatorio nazionale per i diritti umani (Ondus), secondo cui negli ultimi 12 mesi sono state uccise 39.362 persone, di cui 28.113 civili, dove per civili si intendono anche quelli che hanno preso le armi contro il regime. Per la Rete siriana per i diritti umani vicina alla Fratellanza musulmana, i morti sono 36.332 (di questi 3.327 sono bambini e 3.194 sono donne). Infine ci sono i dati del Centro di documentazione delle violazioni in Siria (legato i Comitati di coordinamento locali), secondo cui nel 2012 sono morte in tutto 34.697 persone (su un totale di 39mila vittime dal 2011).
Numeri terribili destinati ad aumentare. Da ieri è in corso una intensa battaglia tra l’esercito siriano e i ribelli per il controllo dell’aeroporto militare di Taftanaz, nella regione di Idlib. Gli insorti affermano di aver abbattuto ieri mattina un elicottero che si era levato in volo da una delle piste della base.
In quella stessa zona lo scorso 22 novembre è stato sequestrato James Foley, 39 anni, un giornalista free lance americano che collabora con l’agenzia francese Afp. Di lui non si sa più nulla da quel giorno. La famiglia ieri ha lanciato un appello per la sua liberazione. Un cittadino australiano, Abu al-Walid al-Australi, di origine araba, invece è stato ucciso il 30 dicembre mentre partecipava, con i jihadisti del Fronte al Nusra, all’assalto della base militare di Wadi Deif, vicina a Maaret al-Numan, una località strategica sulla superstrada tra Damasco e Aleppo conquistata dai ribelli lo scorso ottobre.
Nei giorni scorsi anche un palestinese, un ex membro del movimento islamico Hamas, era stato ucciso in combattimento durante un attacco a una base militare.
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