Lobby, veti e vittimismi: trent’anni di battaglie

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MILANO — Non ci libereremo delle quote latte neanche nel 2013. A fine marzo la produzione nazionale supererà  il tetto di 10 milioni e 883 mila tonnellate fissato dall’Unione europea. Il nuovo ministro dell’Agricoltura, dunque, si ritroverà  sul tavolo un dossier che sta per compiere trent’anni: un’eternità  in politica e in economia. In quelle pagine si trova di tutto: la vocazione al compromesso, spesso al ribasso, dei governi nella Prima Repubblica; i veti e i vittimismi delle piccole lobby, appoggiate da un partito di governo, come è stata la Lega Nord di Umberto Bossi.
È la storia di un’Italia che predicava piani di modernità , ma praticava l’antica arte del galleggiamento. Una vicenda che cominciò con il primo esecutivo guidato da Bettino Craxi. Nel 1984 la Comunità  europea decise di risolvere il problema della sovraproduzione di latte applicando lo stesso sistema già  sperimentato con l’acciaio: ogni Paese una quota e chi la supera paghi una multa («un prelievo aggiuntivo»). Al tavolo del negoziato europeo l’Italia era rappresentata da Filippo Maria Pandolfi, un democristiano pragmatico, sensibile agli interessi delle categorie produttive. Ma quella volta il risultato fu scadente. E questo giudizio è una delle poche cose su cui concordano, ancora oggi, Coldiretti, Confagricoltura e Cia, le tre principali organizzazioni del settore. Allora, come adesso, le stalle italiane fornivano la metà  del fabbisogno di latte nazionale. Le eccedenze erano (e sono) altrove in Europa. Gli allevatori olandesi, per esempio, mungevano più di due volte e mezzo rispetto ai volumi del consumo interno. Anche Germania, Francia e Danimarca erano (e sono) ben oltre l’asticella dell’autosufficienza. Pandolfi, però, accettò una punitiva camicia di forza: la produzione italiana non doveva superare i 9 milioni di tonnellate, cioè lo stesso ammontare con cui si era chiuso il 1983. Una «pietrificazione» che non aveva (e non ha) senso economico. In realtà  quel «sacrificio» era stato messo in conto a fronte di vantaggi su altri tavoli agricolo-europei: vino, per esempio, o agrumi, comparti nei quali il nostro Paese accumulava surplus di prodotto.
In ogni caso, da allora, le quote sono diventate fattore di disturbo economico e di surriscaldamento politico. Lo stesso Pandolfi, di fronte alle prime preoccupazioni, sostenne che esisteva un «accordo tacito» per esentare l’Italia da multe per sforamento. Un’illusione (come minimo). Dal 1984 al 1996 gli allevatori avevano già  totalizzato penalità  per un valore oggi equivalente a 4 miliardi di euro. Fino al 1995 tutti i governi che si erano succeduti (da Craxi ad Andreotti fino al primo breve Berlusconi) saldarono una parte del conto: 1,7 miliardi di euro, pagando con i soldi dei contribuenti. Ma in quell’anno la Corte di Giustizia europea sancì che l’intervento statale costituiva un aiuto «distorsivo» della concorrenza europea. Dovevano pagare, invece, i produttori che superavano il tetto previsto. La protesta investì in pieno il primo governo di Romano Prodi nel 1996. Fu capeggiata dai Cobas del latte, con l’appoggio esplicito della Lega Nord. Spuntarono i trattori sulle strade, la mucca Ercolina e gli slogan sempre più crudi di Bossi.
Iniziò l’affannosa rincorsa a Bruxelles. Prima il ministro Paolo De Castro, nel 1999 (governo D’Alema) poi il leghista Luca Zaia (2008, governo Berlusconi) ottennero rialzi del tetto di produzione, fino ad arrivare ai quasi 11 milioni di tonnellate di oggi. In parallelo il Parlamento varò tre leggi per provare a mettere ordine. Già  nel 1992 l’esecutivo di Giuliano Amato aveva proposto misure per consentire la compravendita delle quote tra gli agricoltori (legge 468). Poi, in piena tempesta leghista, venne approvata nel 2003 la cosiddetta «legge Alemanno»: i sanzionati potevano pagare le multe in rate di 15 anni e a tasso zero. Infine la «legge Zaia, nel 2008, corresse il meccanismo, dividendo le rateizzazioni in tre fasce secondo l’importo, esigendo un tasso di interesse. Il dossier sembrava, finalmente, sul punto di essere ridimensionato. Oggi i multati sono duemila a fronte di 40 mila allevatori. Restano da riscuotere circa 1,5 miliardi di euro e il governo Monti ha affiancato all’Agea (l’Agenzia per le erogazioni in agricoltura) gli ispettori di Equitalia e i militari della Finanza. Se non che è arrivato il momento della magistratura.
Giuseppe Sarcina


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