Lo sgambetto a orologeria di Cameron al «Continente»

by Sergio Segio | 13 Gennaio 2013 8:53

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LONDRA — David Cameron ha deciso di spingere via l’Europa. Entro gennaio terrà  un discorso che, suggeriscono ormai da giorni a Downing Street, sarà  importante per i rapporti pericolanti fra il Regno Unito e il continente. Lo sarà  nella sostanza perché formalizzerà  la richiesta di ridiscutere il trattato europeo e di sottoporlo a referendum. E lo sarà  pure nella forma perché la scelta della data e del luogo di questa accelerazione isolazionista non avrà  nulla della casualità .
Ha provveduto un articolo del Financial Times a rivelare che il premier starebbe pensando di dare fuoco alle poveri il 22 gennaio compiendo con ciò un atto che supererebbe i confini della scortesia per attestarsi nel campo delle provocazioni studiate a tavolino. Il 22 gennaio non è una ricorrenza qualsiasi nella storia dell’Europa: cinquant’anni fa Francia e Germania, De Gaulle e Adenauer, stipulavano il trattato dell’Eliseo, fondavano le loro relazioni sulla riconciliazione e sulla cooperazione, dando così benzina al processo di integrazione politica.
Parigi e Berlino celebreranno il cinquantennale di quella firma con cerimonia solenne fra la cancelleria Merkel e il presidente Hollande ma, secondo il quotidiano finanziario, a rovinare il brindisi sarebbe proprio Londra. Col pretesto infatti di non potere parlare il 21, cosa che suonerebbe stonata in quanto Obama inaugurerà  il suo secondo mandato, e per non incrociarsi il 23 con il tradizionale appuntamento del forum di Davos, Downing Street avrebbe messo in conto di utilizzare la finestra del 22 per compiere lo sgambetto europeo. La cancelliera Merkel ha recapitato un messaggio di grave disappunto. Possibile che Cameron alla fine opti per un’esternazione durante la sua visita in Olanda o quella a Bruxelles ma la sola circostanza che abbia lasciato filtrare l’ipotesi suggestiva del 22, concomitante con il trattato dell’Eliseo, per esplicitare la posizione di Londra sul futuro dell’Europa la dice lunga sul sentimento che anima il leader britannico. Al limite del sabotaggio simbolico.
David Cameron è euroscettico ma frena le sue posizioni avendo nei liberaldemocratici un alleato di governo convinto della partecipazione alla Ue. Nelle ultime settimane i toni di Downing Street si sono inaspriti: i sondaggi danno i conservatori in forte calo a favore dell’Ukip, il partito antieuropeista, e il premier ha preso la palla al balzo per riportare la questione al centro della sua agenda. Cameron deve ora uscire dall’ambiguità . La sua strategia, che sarà  illustrata nel discorso del 22 (lo decide in questo fine settimana), prevede la rinegoziazione del trattato europeo, in particolare il rientro in patria della sovranità  decisionale su alcune materie delegate a Bruxelles e la convocazione del referendum confermativo dopo il 2015. E’ una rotta pericolosa.
Il ritrovato dinamismo antieuropeo di Cameron sta provocando contraccolpi non preventivati. Lo è stato l’affondo dell’amministrazione americana che attraverso il sottosegretario agli affari europei, Philippe Gordon, ha esplicitato il dissenso di Washington (il disimpegno di Londra dall’Europa è un danno per gli Stati Uniti, ha sottolineato la Casa Bianca). Ma lo sono stati anche sia i moniti arrivati da Berlino e da una delegazione parlamentare tedesca in visita a Londra (attenzione a non esasperare il contenzioso) sia le voci interne levatesi a contestare la svolta cameroniana. Uno dei ministri più influenti, quello delle attività  produttive, il liberaldemocratico Vince Cable, ha accolto positivamente la mossa degli Stati Uniti. Poi il direttore generale della Cbi, la Confindustria britannica, John Cridland, ha chiarito che gli interessi economici britannici si tutelano meglio stando dentro l’Europa che non fuori. Infine Lord Heseltine, ex vice primo ministro conservatore che intervistato dal Financial Times ha accusato Cameron di mettere a rischio gli investimenti europei nel Regno Unito.
Il discorso che Cameron terrà  sull’Europa servirà  a capire se per il premier contano di più i calcoli elettorali e il populismo antieuropeo o se alla fine, aldilà  dei tatticismi, lo spirito di rottura sarà  ricondotto nei binari di un dissenso forte ma risolvibile. Pare che Downing Street punti sull’azzardo: il referendum. Se poi davvero parlerà  il 22 la scelta isolazionista sarà  più evidente.

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