«Nassiriya, la base non era sicura»
ROMA — Dopo il Dc9 dell’Itavia abbattuto da un missile al largo di Ustica nel giugno del 1980, la strage di Nassiriya del 12 novembre di dieci anni fa. La Giustizia chiede il conto allo Stato per non aver predisposto le misure di sicurezza necessarie per garantire la totale sicurezza dei cittadini: ieri la nuova sentenza della Cassazione ha stabilito che il ministero della Difesa risarcisca i familiari dei dodici carabinieri, dei cinque militari dell’Esercito e dei due civili morti per l’attentato alla base «Maestrale» in Iraq compiuto dai terroristi islamici legati ad Al Qaeda. «Le vittime di Nassiriya oggi sorridono da lassù», ha sottolineato Francesca Conte, legale della maggior parte dei congiunti di chi quel giorno ha perso la vita. «Con la nostra battaglia, che è durata 10 anni, siamo riusciti anche a far togliere il segreto militare dai documenti. Dedico questa vittoria alle famiglie delle vittime». E l’altro avvocato dei parenti, Dario Piccioni: «È stato un percorso difficile e accidentato, dopo le assoluzioni in primo e secondo grado il morale era a terra. Ora, questo risultato ci rende molto soddisfatti».
Il percorso giudiziario per arrivare alla decisione della Suprema Corte è stato accidentato, e contraddistinto da sentenze che hanno assolto in sede penale i responsabili dell’avamposto italiano nel Paese mediorientale. Gli Ermellini hanno invece annullato (ai soli effetti civili) con rinvio al giudice di secondo grado la sentenza con cui, il 7 febbraio dello scorso anno, la Corte Militare d’Appello aveva confermato la precedente assoluzione «perché il fatto non sussiste» nei confronti del colonnello dei carabinieri Georg Di Pauli, accusato di non aver disposto adeguate misure di sicurezza nella «Maestrale» (era il comandante della base, per la strage dei kamikaze sono morti anche nove iracheni e i feriti sono stati 140). Se dal punto di vista penale è definitiva l’assoluzione di Di Pauli (la Procura Militare non ha impugnato in Cassazione la sentenza d’appello), ci sarà dunque un procedimento civile — davanti alla Corte d’Appello della Capitale — per stabilire l’entità della somma che il dicastero della Difesa dovrà risarcire alle trentuno parti civili costituite nel procedimento.
Di Pauli era stato giudicato con rito ordinario. Per la stessa vicenda sono stati processati — però con giudizio abbreviato — i generali dell’Esercito Vincenzo Lops e Bruno Stano: anche loro sono stati assolti in sede penale ma i giudici di piazza Cavour, nel procedimento contro Stano, avevano già disposto un processo civile per i risarcimenti — proprio come quello che verrà celebrato in relazione alla posizione di Di Pauli — che è però ancora in corso.
Ad aprire la strada all’accoglimento del ricorso dei legali dei familiari dei nostri connazionali uccisi in Iraq era stato ieri, all’inizio dell’udienza, il Procuratore generale militare della Cassazione, Antonino Intelisano. «Vi era l’obbligo di riduzione del rischio. Si trattava semplicemente di definire piani di iniziativa», ha detto. «Le giustificazioni sono inaccettabili: non si aveva a che fare con vigili urbani della circoscrizione, lì c’era una situazione di guerra», ha sottolineato per descrivere quanto fosse indispensabile dotare la «Maestrale» di misure per ridurre al minimo la possibilità di attentati. E secondo i magistrati della Suprema Corte questo non è avvenuto.
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