«La grande crisi? Una buona cosa» I verbali (imbarazzanti) della Fed

by Sergio Segio | 19 Gennaio 2013 7:58

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Nessuno sembra aver colto i segnali di pericolo, dopo che già  nell’estate 2007 cominciano a manifestarsi i primi problemi legati ai mutui subprime. Ascoltate cosa dice Tim Geithner, attuale ministro del Tesoro americano (in uscita) e allora presidente della Fed di New York nel corso di una telefonata del 10 agosto 2007: «Non abbiamo indicazione che maggiori e più diversificate istituzioni stiano avendo problemi di finanziamento. In effetti molte di esse riportano quello che classicamente avviene in una fase del genere e cioè che il denaro stia affluendo».
L’abbaglio sembra totale. Frederic Mishkin, allora membro del Federal Open Market Committee, dice che «quello che sta succedendo è una cosa buona. Eravamo preoccupati che i mercati fossero troppo ottimisti, che c’era troppo opacità  e che le persone non fossero intimorite di questo. Adesso lo sono e credo si tratti di una situazione salutare».
«Il risultato più probabile è che la crisi dei mutui subprime sarà  limitata in durata ed effetti», dichiara l’allora vice presidente della Fed Donald Kohn. E ancora. William Dudley, che successivamente ha sostituito Geithner a capo della Fed di New York e che all’epoca era il responsabile del desk sulle operazioni di mercato, nel corso della telefonata dell’agosto 2007 sostiene che Washington Mutual e Countywide, due banche poi collassate, «hanno problemi temporanei».
Alla riunione del 30 ottobre, Janet Yellen, allora presidente della Federal Reserve di San Francisco intravede «rischi crescenti», ma scommette ancora in un «atterraggio morbido dell’economia».
Soltanto con il passare dei mesi la Fed sposta la sua attenzione dal rischio di inflazione e comincia a riconoscere i sintomi della crisi e ad agire di conseguenza. Ma ormai è troppo tardi. La domanda che ora circola a Wall Street è questa: la crisi sarebbe stata meno severa se la Fed avesse intuito prima la portata della crisi finanziaria e agito con più prontezza anziché continuare a prevedere una crescita costante dell’economia americana?
Giuliana Ferraino

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