L’Italia in tribunale, giustizia o barbarie?

by Sergio Segio | 27 Gennaio 2013 9:09

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Passata l’anomalia berlusconiana a Palazzo Chigi, l’inaugurazione dell’anno giudiziario nelle 26 corti d’appello italiane lascia il campo minato delle riforme e delle leggi «ad personam» e fotografa nitidamente il disastro inarrestabile della giustizia del nostro paese. In tempi in cui le inchieste sono sempre più rumorose e in tempo reale, l’Italia «ha il triste primato in Europa del maggior numero di processi estinti per prescrizione (circa 130.000 quest’ultimo anno solo a Milano) e paradossalmente – ha detto il presidente della corte d’appello Giovanni Canzio – anche del più alto numero di condanne della Corte europea dei diritti umani per la durata dei processi». Mentre le carceri «hanno ormai superato ogni livello di tollerabilità ».
La giustizia è al capolinea: aumentano in generale i reati legati a truffe, rifiuti e disastri ambientali, mafia e corruzione. Anche regioni che si autoconsideravano un’isola felice non lo sono più: «La Lombardia, non lo possiamo negare, è ormai in mano a tutti i gruppi mafiosi», denuncia inascoltata la presidente della corte d’appello di Brescia Graziana Campanato. A Roma i reati dei colletti bianchi sono in aumento e i locali più famosi della «dolce vita» e del centro sono in mano alla criminalità  organizzata. A Napoli +18% di omicidi legati alla camorra (senza contare Scampia). In Sicilia esplodono le frodi comunitarie (+70%). In Calabria, rileva il presidente della Corte di Appello Giovanni Macrì, «la densità  criminale riguarda il 27% della popolazione» e le cosche fatturano 43 miliardi di euro l’anno: «L’unica proficua soluzione» secondo Macrì è intensificare le confische. A Torino il procuratore generale Marcello Maddalena invita a non sottovalutare i no-Tav e il rischio di «degenerazioni» che potrebbero sfociare in una «deriva terroristica». Mentre in Puglia i magistrati protestano sonoramente contro l’ultimo decreto «salva-Ilva» di Passera e Clini.
In questo quadro indegno di un paese minimamente civile (senza contare l’assenza del reato di tortura e le leggi criminogene su recidiva, droghe e immigrazione), farà  sicuramente più rumore la polemica interna alla casta togata sui troppi magistrati candidati in politica, Ingroia in testa. «La magistratura non ha bisogno di pseudo-rivoluzionari o di novelli partigiani ma di persone che svolgano il proprio lavoro», ha detto Giovanni Galati, pg presso la corte d’appello di Perugia.

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