L’Europa tiene banco e il tour del premier alimenta le polemiche

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Il premier ribadisce che se vincesse il Pd con il Sel di Nichi Vendola, «qualche problemino» ci sarebbe: soprattutto se il governatore della Puglia pesasse nel centrosinistra. E Vendola risponde che «la sinistra ha già  baciato troppi rospi», e accusando Monti di «puntare all’instabilità » per avere un ruolo strategico. Ma anche il segretario del Pdl, Angelino Alfano, consegna al presidente del Consiglio uscente un viatico velenoso. È «il candidato delle cancellerie europee, ma sarà  votato dall’8 per cento degli italiani».
Già  meglio di quanto aveva detto qualche giorno fa l’ex presidente del Consiglio, Massimo D’Alema, per il quale Monti sarebbe soltanto la scelta della Merkel, mentre «l’Europa vuole Bersani». Si tratta di parole che hanno in comune una larvata ostilità  verso il governo di Berlino, oltre che verso Monti. E più in generale verso le istituzioni di un’Unione europea che secondo Alfano agirebbe sempre «al servizio della Francia e della Germania». La polemica risente del maldestro attacco a Silvio Berlusconi arrivato l’altro ieri dal commissario europeo agli Affari economici e monetari, Olli Rehn: una mossa che lo stesso Monti ieri ha bollato in modo negativo.
«È importantissimo», ha detto, «che la Commissione si astenga dall’interferire nelle campagne elettorali. Rehn è molto duro e rigoroso. Tante volte ho fatto molta fatica a portarlo su posizioni più morbide». Ma il battibecco riflette anche l’irritazione di un centrodestra consapevole dei problemi che la sola ipotesi di un governo con dentro Berlusconi creerebbe sul piano internazionale: tanto più dopo una campagna elettorale a braccetto con una Lega che propone un referendum sull’euro. Per questo il Pdl accredita un Monti remissivo, se non subalterno nei confronti della Merkel. E scansa le accuse rivolte dall’Europa alla politica economica del governo di centrodestra.
«Ho letto, quasi non credendoci, le dichiarazioni di Rehn, che contrastano con quanto diceva mentre eravamo al governo», lo attacca Berlusconi ricordando le parole incoraggianti pronunciate circa due anni prima. Ma la reazione del Cavaliere sottolinea la gaffe del commissario europeo, e insieme la preoccupazione di essere raffigurato davanti all’elettorato come un pericolo. Le accuse di «ingerenza» sono difficilmente contestabili. Eppure ci si rende conto che i confini fra politica interna ed europea sono labili, quasi inesistenti; e che qualunque Stato non può prescindere dalle regole dettate a livello continentale in materia di politica economica, e non solo: tanto più in una fase di emergenza.
Per questo Monti ribatte definendo la durezza berlusconiana verso la Merkel «coreografia elettorale». E si definisce «l’interlocutore più cocciuto» della Germania. Il timore è che una facile polemica antitedesca attenui la consapevolezza degli impegni richiesti all’Italia e alle altre nazioni non da Berlino ma dalla Commissione e dalla Banca centrale europea; e che dopo il voto del 24 e 25 febbraio l’opinione pubblica ritrovi difficoltà  intatte, aggravate però dall’illusione di poterle schivare. Lo sfondo si presenta scivoloso, a tre settimane dal voto. La tentazione di macinare consensi delegittimando «questa» Europa sta crescendo. E Monti e la Merkel oggi affronteranno una conferenza stampa che chiarirà  quanto regga il loro asse. È verosimile che i toni della riunione degli europarlamentari del Pdl, convocata per domani a Roma da Berlusconi, dipenderà  dall’esito dei colloqui berlinesi.


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