L’estrema destra alla prova del voto
MILANO. Negli ultimi vent’anni, all’ombra dei governi formigoniani, l’estrema destra lombarda ha potuto usufruire di indubbi spazi e appoggi. Fin da subito ha goduto dello sdoganamento culturale operato dall’ex assessore alla cultura Marzio Tremaglia, tramite convegni e mostre dedicate al cattolicesimo più intransigente e oscurantista, a Ezra Pound, Julius Evola e ai reduci di Salò, ma anche di aiuti concreti sotto forma di generose elargizioni alle proprie case editrici. Ancora nel 2011 il logo della regione veniva concesso per alcuni convegni. In uno, in maggio, figurava anche il rappresentante di una rivista negazionista. Una legittimazione in grande stile, davvero sistematica, che ha avuto negli uomini di Alleanza nazionale i suoi più attivi protagonisti, ma non solo. Si pensi all’assessore Massimo Buscemi, area Comunione e liberazione, appoggiato pubblicamente nel 2010 da Casa Pound nella sua corsa a consigliere regionale.
Ora, a tornata elettorale avviata, alcune candidature all’interno dello schieramento incentrato sull’asse Pdl-Lega chiariscono ulteriormente sponde e intrecci. Due le liste indicative. In primis Fratelli d’Italia originata da una delle schegge seguite all’implosione degli ex di Alleanza nazionale. Una formazione che in Lombardia più che altrove vuol dire «clan La Russa», depositario di un collaudatissimo sistema di potere, tra affari e politica, in grado di collocare propri uomini ai vertici di importanti istituzioni. Anche il logo, con il nodo tricolore, lo si è preso in prestito da Fare occidente, il nome dell’ex corrente di famiglia all’interno del Pdl regionale. Il suo gruppo dirigente, senza defezioni significative, è praticamente rimasto lo stesso di Alleanza nazionale, da sempre, a onta delle «svolte» di Gianfranco Fini, in costante collegamento con il variegato pulviscolo del neofascismo milanese. Da qui un intenso scambio di favori nel corso degli anni, con il procacciamento, attraverso l’Aler (grazie al cognato di Romano La Russa, Marco Osnato, posto ai suoi vertici), di sedi a prezzi di favore per alcune sue filiazioni (si veda il caso degli Hammerskin nei pressi della stazione Centrale), la partecipazione di suoi esponenti a iniziative nostalgiche (come al campo dei caduti repubblichini al Cimitero Maggiore), fino alla candidatura nelle elezioni regionali del 2005 di Lino Guaglianone, l’ex terrorista nero degli anni Settanta, sodale del pluriassassino Gilberto Cavallini dei Nuclei armati rivoluzionari. Nell’occasione alcuni dirigenti di An presenziarono anche all’inaugurazione del suo comitato elettorale, infarcito di bombaroli pluricondannati, tra loro Nico Azzi, arrestato il 7 aprile del 1973 in flagrante mentre tentava di compiere una strage sul treno Torino-Roma innescando un chilo di tritolo militare.
La lista dei Fratelli d’Italia alle regionali, nell’occasione capitanata dal fratello di Ignazio La Russa, Romano, vede non a caso al secondo posto, davanti all’ex vicesindaco di Milano Riccardo De Corato, la consigliera provinciale Roberta Capotosti, già passata alle cronache per essersi fatta ritrarre con la croce celtica al collo in uno dei suoi manifesti elettorali. Roberta Capotosti e l’onorevole Paola Frassinetti, rappresentano le due figure principali alle quali il clan ha demandato il rapporto con l’estremismo di destra, da Forza nuova a Lealtà azione, l’associazione dietro la quale si nascondono gli Hammer lombardi che proprio in occasione della recente Giornata della Memoria hanno pensato bene di definire su facebook gli ebrei come «cancro dell’umanità » e la giornata stessa come «un insulto». Dal canto suo Paola Frassinetti ha appena espresso piena solidarietà agli arrestati di Casa Pound di Napoli gridando al «regime comunista». È stata ovviamente premiata con la candidatura al Senato.
Più scontata sul versante de La Destra di Francesco Storace la presentazione alla Camera per Lombardia 1 di Roberto Jonghi Lavarini (tra i fondatori di Cuore nero, aderente alla Fondazione Augusto Pinochet, presidente nel 1997-1998 per Alleanza nazionale del consiglio di zona 3, passato alle cronache per aver esercitato il suo mandato istituzionale con un ritratto di Mussolini in uniforme e con il braccio teso nel saluto romano in bella mostra nel suo ufficio) e quella alla regione, di Benedetto Tusa negli anni Settanta tra i principali animatori de La Fenice, la sigla di Ordine nuovo a Milano in cui militava Nico Azzi.
Nella circoscrizione 3 per la Camera la lista è stata esclusa per aver praticamente falsificato tutte le firme, è stata anche aperta un’inchiesta. D’altro canto La Destra non ha mai fatto mistero della propria natura, così come Forza nuova (presentatasi da sola), che candida alla Camera Remo Casagrande, notissimo squadrista degli anni Settanta, o la Fiamma tricolore (anch’essa per conto proprio), che al Senato include Flavio Carretta, più volte arrestato per aggressione e assalti vari (tra l’altro alla Casa dello studente di Milano nel 1970) e alla Camera mette Gabriele Leccisi, il figlio del più noto Domenico, trafugatore nel 1946 della salma di Mussolini dal Cimitero Maggiore. È proprio il caso di dire a volte ritornano.
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Una legge vera contro i corrotti
SE IL ministro Severino davvero pensa che siamo davanti a una seconda Tangentopoli, e a crimini ancora più devastanti perché «lucrare sul denaro pubblico mentre ai cittadini vengono chiesti sacrifici è di una gravità inaudita», allora bisogna che subito, senza dar tempo al tempo, il governo metta ai voti una legge contro la corruzione: una legge che impedisca questo delinquere che imperversa sfacciatamente, e che non è una seconda Tangentopoli ma un’unica storia criminale, che indisturbata persiste da vent’anni e perfino cresce.