L’ECONOMIA CRITICA IN PROGRAMMA

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Per non parlare dell’idea di portare in Parlamento le competenze necessarie per condurre a livello adeguato la battaglia contro l’austerità  e per un’Europa diversa. Per questi economisti critici non giungono certo come una novità  le conclusioni a cui arriva il working paper, firmato nientemeno che dal capo della ricerca del Fmi Oliver Blanchard e richiamati dal manifesto di giovedì, per cui gli effetti delle politiche di austerità  sulla crescita sono state sottostimate. Questa è gente che ha sempre sbagliato tutto, sin da quando Blanchard e Giavazzi guardavano ai flussi di capitale dai paesi europei più ricchi verso la periferia come un fenomeno che ne avrebbe sostenuto la crescita, e non come l’alimento di bolle immobiliari e di una crisi del debito. Eppure l’esperienza dei paesi emergenti doveva insegnarglielo. Eppure sul testo di Blanchard-Giavazzi i nostri studenti continuano a essere indottrinati. Eppure il Pd candida Giampaolo Galli come per ribadire una sorta di allineamento del partito all’economia politica «volgare» e di prossimità  ai gangli dominanti del potere economico.
Al di là  dell’esito elettorale, sono Monti e quest’Europa che rischiano di dettare l’agenda. Dietro il fumo, la sostanza dell’Agenda Monti è un progetto di rilancio del paese attraverso la riduzione di salari e diritti e dello stato sociale. Una sorta di ritorno agli anni ’50, ma in un contesto internazionale che, a differenza di allora, molto difficilmente trainerà  una ripresa delle esportazioni italiane. Alla ricerca di un accreditamento internazionale e di un ravvedimento operoso di quella che il Pd amabilmente chiama la «famiglia socialista europea», l’agenda Bersani può definirsi come un «togli qui e metti lì». Una modesta agenda di redistribuzione di risorse che vanno scemando a fronte dell’austerità  e che assomiglia al raschiare il fondo del barile. La centralità  che l’opposizione all’austerità  e la questione europea hanno assunto nelle posizioni espresse dagli esponenti di Cambiare si può rappresenta invece un fatto importante, e su questo Rifondazione è certamente solidale. Al momento, tuttavia, le dichiarazioni economiche di Antonio Ingroia appaiono principalmente riferirsi ai poteri taumaturgici della lotta alla corruzione e alle mafie. Che questa sia una priorità  non v’è dubbio, così come quella del riequilibrio dell’imposizione fiscale e della lotta all’evasione. Ma l’idea che il recupero dei capitali mafiosi, o un’efficace lotta alla corruzione portino risorse e investimenti esteri sufficienti alla ripresa è a dir poco ingenua. E comunque è un lavoro di lunga lena.
Manca dunque nei programmi del Pd (e di Sel) e per ora in quello di Ingroia un puntuale riferimento a un quadro di politiche europee volte alla crescita. L’auspicio è che questo lavoro cominci, possibilmente non come sgangherate liste della spesa con proposte più o meno fumose, ma con un convincente sforzo di approfondimento, anche tecnico, che dovrebbe ben andare oltre le elezioni. Una proposta solo menzioniamo (e risale all’Appello degli economisti del 2006): un impegno della Bce a diminuire i tassi ai livelli pre-crisi – la Bce lo può fare – può essere scambiato con quello a stabilizzare il rapporto debito pubblico/Pil, sì da tranquillizzare Germania e mercati che non si tratta di populismo. Se condotta a livello europeo, tale politica renderebbe possibili politiche fiscali di sostegno della domanda aggregata e la ripresa. Reuters cita un sondaggio che dà  la Linke tedesca al 9%, dunque forza e coraggio.


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