Le vendette dell’esercito

by Sergio Segio | 22 Gennaio 2013 8:41

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Raccapriccianti testimonianze che inchiodano, oltre ai jihadisti, le forze di sicurezza A una settimana dall’inizio dell’offensiva francese in Mali si affaccia il volto più odioso della guerra: le violenze sui civili. Commesse dalla guerriglia islamista, cosa già  nota da tempo, ma anche dalle forze regolari maliane. Una denuncia che si basa su prove raccolte dalle maggiori organizzazioni per la difesa dei diritti umani e che comincia a fare i conti anche con i bombardamenti indiscriminati.
La prima messa in guardia su quanto accadeva e poteva accadere in Mali, Amnesty International l’aveva già  detta e scritta il 14 gennaio scorso, chiedendo «a tutte le parti coinvolte nel conflitto armato del Mali di garantire che i civili siano protetti perché vi è il concreto timore che gli scontri possano dar luogo ad attacchi indiscriminati o altri attacchi illegali in zone in cui i membri dei gruppi armati islamisti sono mescolati alla popolazione civile» e che dunque «le forze che prendono parte agli attacchi armati devono a ogni costo evitare bombardamenti indiscriminati e fare il massimo per evitare vittime civili». Ma adesso la preoccupazione è diventata realtà  e si basa su una raccolta di casi e prove che certificano come non siano soltanto gli islamisti a usare modi sbrigativi coi civili. Ci sono infatti evidenze di esecuzioni sommarie e abusi compiuti anche dai militari maliani. Una sorta di vendicativa ritorsione nelle città  riconquistate accanto alla quale si somma l’accusa per l’esercito di Bamako di aver bombardato in maniera indiscriminata i campi dei nomadi tuareg (per ora molto poco si sa invece sugli effetti dei bombardamenti francesi).
La voce di Amnesty non è isolata: ha preso posizione Human Rights Watch, la Federazione internazionale per i diritti umani (Fidh) e la sua emanazione maliana (Amdh). Pressioni insomma per vederci più chiaro anche perché la recente decisione del procuratore della Corte penale internazionale Fatou Bensouda – che alcuni giorni fa ha aperto un’inchiesta sui crimini commessi nel Nord del Mali – si concretizzi in un’azione in profondità : vada cioè sino in fondo, anche se la stessa Amnesty ammette che l’inchiesta della corte rischia di essere riduttiva se non si impegneranno al suo fianco sia la giustizia maliana sia la comunità  inernazionale.
Gaetan Mootoo di Amnesty ha spiegato che le preoccupazioni di Amnesty si tradurranno in una nuova missione a Bamako, Sevaré, Mopti, luoghi dai quali provengono le prime raccapriccianti testimonianze che inchiodano, oltre ai miliziani islamisti, le forze di sicurezza del Mali. Se i primi si sono macchiati di torture, uccisioni di soldati maliani, stupri, reclutamento di bambini soldato (Hrw ha un dossier sul caso) e distruzioni di siti storico religiosi, anche l’esercito di Bamako avrebbe commesso abusi non meno gravi: come esecuzioni extra giudiziarie di civili tuareg e bombardamenti sui campi nomadi e sul bestiame di popolazioni che vivono soprattutto di pascolo nell’arido settentrione del Paese africano. Ma c’è di più. Secondo Amnesty, i crimini non sarebbero confinati nel solo Nord del Mali e cioè nelle zone della guerra guerreggiata: l’organizzazione avrebbe prove di torture, esecuzioni sommarie, attacchi contro leader politici e giornalisti anche nel Sud del Paese dove cominciano a essere documentati anche casi di desaparecido, come ha spiegato Paule Rigaud, vicedirettore di Amnesty per l’Africa. Altre conferme non mancano.
Il giornalista spagnolo José Naranjo di El Pais è andato in cerca di prove. E le ha trovate. Molte gliele hanno fornite gli attivisti per i diritti umani che si trovano in loco. Scrive da Mopti che la Fidh ha testimonianze di almeno dieci esecuzioni sommarie avvenute a Sevaré, mentre Hrw gli ha confermato «informazioni credibili» su abusi commessi dall’esercito a Niono. «Uccidono in una zona chiamata Chechenie», a ridosso di un poligono dell’esercito, gli dice un maliano della zona di Wailhirdé (Sevaré), e poi buttano i cadaveri in un pozzo. Sulla balaustra si nota ancora il sangue e, intorno, la scia dei cadaveri trasportati. Ma quando Amnesty ha chiamato il ministro di Giustizia maliano Malick Coulibaly, riferisce El Pais, questi ha risposto candidamente che «nessun esercito è perfetto».

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