LE RADICI NASCOSTE DELLA NOSTALGIA

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Non a caso il libro per cui — in Italia almeno — è più conosciuto è Finestre, un testo bellissimo, denso di evocazioni: ogni pagina uno scavo poetico dentro l’inconscio, tra memoria e oblio, tra parola e immagine. Così si lavora, non per trattazioni teoriche comprensibili solo tra adepti, ma appunto aprendo finestre, spalancando sul mondo orizzonti senza sbarre. Ripenso ad alcuni spunti: ad esempio parlando del rapporto con la madre riesce a pronunciare in poche parole la necessità  della riparazione. Quando Pontalis si interroga sull’immagine di Ersatz, alla lettera «surrogato», scrive: «Lugubre Ersatz, di cui deve accontentarsi il vinto. Ersatz che segue la sconfitta, l’umiliazione, la vergogna». E poco dopo aggiunge: «Ma ci sono sostituti materni? Per quanto insoddisfacente sia stata è unica. Mi dico che il solo essere insostituibile, e ancor meno interscambiabile, forse addirittura immortale, è (se non la nostra) la madre, e a mia madre minuscola, attribuisco, dò, la maiuscola».
Possiamo vivere una realtà  trasformativa e forte quando la maternità  è luogo radicale di cambiamento anche quando la madre che ci ha messo al mondo confinerebbe nella miseria della vergogna il nostro passato, lugubre terra di vinti. Se è così non se ne esce. Dice Pontalis, e questo davvero cambia il lavoro analitico, che per andare avanti ci tocca andare oltre, perdonarla, comunque, darle la maiuscola. È un bel modo per dirlo: la minuscola diventa maiuscola, unica, insostituibile. Allora la vita di ciascuno di noi non è ricattata, ma riscattata per il solo fatto di riconoscerne l’unicità , a partire dalla madre. Così come, prosegue Pontalis, è alla terra madre che siamo profondamente legati, al luogo della appartenenza che non va tradita, ma riconosciuta come base per tutte le ricerche per terre lontane, dentro e fuori di noi.
Parla dell’esilio come di qualcosa che ha l’impronta della nostalgia, del passato e del futuro, della memoria come materia che fonda la traccia delle radici, e in questo senso fa della psicoanalisi la scienza delle tracce, forse. Ma sono sue le parole più importanti, che mi rimangono impresse: «Nome comune della nostalgia: male del paese. Ammalarsi perché si è stati separati dal paese natale. Sofferenza dell’esilio. Sogno di un ritorno non assicurato. E il ritorno non manterrà  le promesse attese. Sì, ma che cos’è questo paese natale per noi che parliamo di nostalgia facendo riferimento a un tempo, più che a uno spazio o a un luogo? Nostalgia del tempo passato, del nevermore. Dolore del non-ritorno, rifiuto del cambiamento per ciò che esso distrugge, rabbia impotente davanti al tempo devastatore, al tempo che non si limita a passare, che annienta».
La nostalgia forse è il nevermore dove vanno a finire i nostri lutti, le nostre perdite, e cambiano colore ad ogni orizzonte. Scrive ancora Pontalis, in quella sua lingua che è poesia, immagine, e novità  interpretativa, libera di usare parole e visioni che poco per volta ci conducono al suo progetto che si srotola davanti a noi, un pensiero nuovo: «Non è il passato che il nostalgico idealizza, non è al presente che volta le spalle, ma a ciò che muore. Il suo augurio: poter trovare ovunque — che egli cambi continente, città , mestiere, amore — il proprio paese natale, quello dove la vita nasce, rinasce. Il desiderio che la nostalgia reca in sé non è tanto il desiderio di un’eternità  immobile ma di nascite sempre nuove. Allora il tempo che passa e distrugge cerca di mutarsi nella figura ideale di un luogo che resta. Il paese natale è una delle metafore della vita».
Metafore della vita. Luoghi dove la nostalgia si anima di una rinascita che anche nei sogni è materia viva, e aiuta a resistere, a durare, a cambiare. I luoghi che ci fa balenare Pontalis sono dimora di nostalgia e di Ombra, e là  dove è nato il male di vivere e la sofferenza e il dolore, fino alle zone più oscure della patologia, là , lui ci dice, si trovano anche i possibili orizzonti di rinascita.


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