Le mazzette e la banda del 5% sulle operazioni spericolate

by Sergio Segio | 30 Gennaio 2013 7:25

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SIENA — Cresce di intensità  la doppia inchiesta su Mps per l’acquisizione di Antonveneta da 9 miliardi e per le presunte tangenti incassate da alcuni top manager nelle operazioni in derivati. Il meccanismo delle «retrocessioni» o dei «premi» ai manager per i derivati potrebbe rivelarsi essere addirittura un sistema: quello della «banda del 5 per cento».
Agli atti dell’indagine condotta dai pm di Siena Antonino Nastasi, Giuseppe Grosso e Aldo Natalini, coordinata dal procuratore Tito Salerno insieme con gli investigatori del nucleo di polizia valutaria della Guardia di Finanza diretti dal generale Giuseppe Bottillo, si sono aggiunti i fascicoli inviati dalla Procura di Milano, che già  aveva intercettato presunte retrocessioni di denaro a top manager di banca che negoziavano titoli: a breve il pm Roberto Pellicano chiederà  il rinvio a giudizio per 18 persone.
Nel mirino c’è l’ex direttore dell’area finanza, Gianluca Baldassarri, per dieci anni al Monte e messo alla porta dal nuovo amministratore delegato Fabrizio Viola a gennaio 2012. Gli investigatori hanno già  individuato come riconducibili all’ex manager 20 milioni fatti rientrare in Italia con gli scudi fiscali 2001, 2003 e 2010 (un «rimpatrio giuridico», cioè lasciandoli all’estero). Negli atti milanesi a parlare di Baldassarri e di Matteo Pontone, capo del desk di Londra del Montepaschi, è l’ex banker italiano della Dresdner, Antonio Rizzo, che li descrive come quelli della «banda del 5 per cento, perché su ogni operazione prendevano tale percentuale».
La testimonianza di Rizzo è raccolta dagli investigatori di Milano il 13 ottobre 2008 nell’indagine su un intermediario svizzero, il broker Lutifin Services, di Lugano, e su un «riacquisto di titoli» da parte di Dresdner da Mps, per 120 milioni, emessi da Skylark Ltd, veicolo di Dresdner domiciliato alle Cayman (l’emissione totale di questi titoli «classic asset backed medium term note» codice Isin XS0257560028, era più grande, 5 miliardi). Secondo quanto sostenuto da fonti a conoscenza del dossier, non sarebbe però un passaggio del famoso derivato «Alexandria» su cui indagano i pm senesi, realizzato con Dresdner ma per un importo diverso, 400 milioni. Il punto di contatto — oltre alla banca d’origine — è il veicolo Skylark. Dalle carte di Milano emerge che sulla transazione Lutifin incassò una commissione dello 0,5% pari a 600 mila euro. Il pagamento è considerato dalla GdF «contro ogni logica commerciale (dal momento che l’operazione — per sua stessa natura — non necessitava di un intermediario)». Esso sarebbe stato realizzato «su esplicito volere dei vertici di Dresdner». Di questa operazione Rizzo parlò con altri banker di Dresdner nel novembre 2007. Uno di essi «caldeggiava l’operazione»: «Parlo di riacquisto in quanto lo stesso pacchetto era stato venduto da Dresdner a Mps Londra in precedenza». Fu allora che Rizzo venne a sapere della commissione pagata a Lutifin. «Lorenzo Cutolo (superiore di Rizzo all’epoca, ndr) rimase sorpreso e disse che era assurdo pagare un’intermediazione per un affare che Dresdner poteva tranquillamente fare da sola. Tale assurdità  era accentuata dal fatto che in occasione della vendita da Dresdner a Mps era stato utilizzato altro intermediario diverso da Lutifin». Di questa transazione Rizzo sostiene di aver parlato a marzo 2008 all’organismo di controllo interno di Dresdner «e mi è stato comunicato che sarebbe stata aperta un’indagine». Poi da Michele Cortese — che si occupava della vendita di prodotti finanziari per Dresdner Bank-London Branch — seppe che «a suo avviso, ma il fatto sembrava notorio, Pontone e Baldassarri avevano percepito una commissione indebita dell’operazione per il tramite di Lutifin. Mi disse anche che i due erano conosciuti come la banda del 5 per cento perché su ogni operazione prendevano tale percentuale». In sostanza, secondo la GdF, avrebbero acquistato titoli «in perdita» scambiandoli con titoli «in salute» a danno di Mps.

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