Le mani della politica sulle fondazioni

by Sergio Segio | 25 Gennaio 2013 8:45

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Tutto punta in questa direzione, a partire dalla carriera e vicenda personale del protagonista principale, quel Giuseppe Mussari che solo un mese fa veniva per la seconda volta incoronato alla guida dell’Associazione Bancaria Italiana, nonostante i problemi della banca da lui guidata fossero «noti da tempo», secondo quando dichiarato ieri dal ministro Grilli. Solo una governance del nostro sistema bancario che assegna un ruolo precipuo a power brokers, a persone che gestiscono e mediano posizioni di potere, anziché affidarsi a banchieri di professione, poteva portare Mps a pagare 9 miliardi per acquisire una banca, la Antonveneta, oggetto di compravendita pochi mesi prima a un prezzo di un terzo inferiore. Si dice spesso che le fondazioni siano gli investitori istituzionali di cui oggi ha bisogno il nostro sistema bancario, investitori prudenti e attenti agli obiettivi di lungo periodo, in grado di opporsi ai rapaci e miopi investitori che calano dall’estero per mettere le mani sulle nostre banche, come paventato a più riprese dal presidente dell’Acri, Guzzetti. Ma come si spiega allora il fatto che la Fondazione Mps, che fino a pochi mesi fa deteneva più del 50 per cento della banca senese, abbia tollerato operazioni così rischiose? Addirittura sarebbe stato proprio il desiderio di garantire comunque dividendi alla Fondazione Monte dei Paschi la principale ragione per cui è stato messo in piedi un sistema bizantino e fonte di ulteriori rischi elevati per diluire (e occultare) le perdite nel corso del tempo. L’intreccio ha poi anche un’altra conseguenza: permette il gioco dello scaricabarile fra diverse autorità  di regolazione. Ieri il ministro Grilli ha sottolineato come la vigilanza sulle banche spettasse a Banca d’Italia. Vero. Ma non spetta proprio al Tesoro la vigilanza sulle fondazioni bancarie?
Queste distorsioni sono tipiche di un sistema bancario in cui il potere politico continua ad esercitare un ruolo molto importante attraverso canali informali. Sono canali talmente collaudati da essere stranamente dimenticati dal codice di autodisciplina recentemente approvato dall’Acri. Questo permette il passaggio diretto dai board delle fondazioni ai vertici delle banche. Così i politici, cui non viene permesso di passare direttamente dalle cariche istituzionali ai vertici delle banche, potranno sempre “pulirsi” con un periodo nelle fondazioni per poi passare di lì ai vertici delle banche, con un semplice “allungamento” della struttura di controllo. La politica potrà  così continuare a condizionare pesantemente il sistema bancario. E come documentato da Paola Sapienza, non è chiaro quali siano gli obiettivi di banche in cui continua a esserci una forte influenza della politica. Il loro comportamento è influenzato da interessi locali e cicli politici più che dal desiderio di garantire redditività  ed efficienza.
Se la diagnosi è corretta, la terapia non può che essere una sola. Per evitare che episodi di questo tipo si possano ripetere in futuro e per salvare le stesse fondazioni bancarie bisogna separare nettamente politica e banche concludendo il processo iniziato con le privatizzazioni. Le fondazioni devono uscire dal capitale delle banche.

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