«Basta con la persecuzione nei confronti dei kurdi»
«Basta con la persecuzione dei kurdi». Declinato in tutte le lingue, il cartello è stato innalzato ieri in diversi paesi europei. A Parigi, per il terzo giorno consecutivo, migliaia di persone hanno manifestato contro l’assassinio di Sakine Cansiz, Fidan Dogan e Leyla Soylemez, le militanti kurde uccise al numero 147 della rue Lafayette mercoledì nei locali del Centro di informazione del Kurdistan. Nel corteo che ieri ha sfilato per le vie della capitale (a cui hanno partecipato in più di 15.000), molti portavano i ritratti delle tre donne, che rivestivano un ruolo di rilievo nel movimento indipendentista.
Cansiz, 55 anni, nome di battaglia «Sara», era una dirigente del Pkk, il Partito dei lavoratori del Kurdistan, che aveva contribuito a fondare nel 1978. Originaria di Dersim, era di confessione alevita, la seconda comunità religiosa in Turchia dopo i sunniti, corrispondente agli alawiti in Siria. Aveva combattuto nelle montagne, era stata arrestata e torturata nelle prigioni turche, prima di chiedere l’asilo politico in Europa. Si trovava in Francia dal 2007. Fidan Dogan, 32 anni, era la responsabile del Centro d’informazione del Kurdistan in Francia, un punto di contatto suppletivo per via che il Pkk, considerato un gruppo terrorista dalla Turchia, dagli Stati uniti e dall’Unione europea è stato messo sulla lista nera. Leyla Solyemez, 24 anni, era una dirigente delle organizzazioni giovanili kurde.
Sono state ammazzate con colpi di pistola calibro 7,65, sparati alla nuca e al volto col silenziatore. Senz’altro «un’esecuzione», secondo il ministro degli Interni Manuel Valls. Le indagini sono state affidate all’antiterrorismo. Un omicidio «orribile» ha dichiarato il presidente francese Franà§ois Hollande, che ha affermato di aver conosciuto una delle vittime «perché veniva a incontrarci regolarmente». L’affermazione ha provocato le proteste del Primo ministro turco Recep Erdogan: «Il presidente francese – ha detto – deve spiegare all’opinione pubblica turca e al mondo perché abbia incontrato dei membri di un’organizzazione terrorista». Il premier turco ha poi chiesto alla Francia di far luce «immediatamente» sul triplice omicidio ed ha evocato la tesi di un regolamento di conti interno al Pkk: per sabotare – ha detto – le trattative di pace tra Ankara e il Pkk.
Dopo il fallimento di un primo tentativo, portato avanti dal 2009 al 2011, il governo turco ha infatti ripreso le discussioni con il dirigente del Pkk Abdullah Ocalan, prigioniero sull’isola di Imrali. Per la prima dal ’99, il 3 gennaio anche due deputati kurdi hanno potuto visitare Ocalan e una seconda delegazione di parlamentari del Partito per la pace e la democrazia (Bdp), il partito legale vicino al Pkk, sembra attesa per oggi. Il leader prigioniero ha anche preparato una road map per portare a soluzione il conflitto armato che dura dall’84 e che ha provocato 45.000 vittime.
Incalzato da un’estrema destra turca, ultra nazionalista, che l’accusa di cedere sulla questione kurda e da un’opposizione che denuncia la sua politica offensiva nei confronti della Siria, Erdogan vorrebbe conseguire un risultato. Altre forze, però, dentro e fuori il suo paese, potrebbero aver interesse a gettare un altro macigno sulle trattative. Il movimento kurdo – che rigetta con forza la tesi della «faida interna» – accusa «lo stato profondo turco», «la Gladio turca» o i «lupi grigi» che, in rete, hanno manifestato l’intenzione di decapitare il movimento indipendentista, sia nelle rappresentanze politiche che sulle montagne. Accreditare la tesi della faida interna, serve senz’altro a screditare Ocalan come interlocutore credibile e rappresentativo del movimento. Un risultato – dicono alcuni analisti – che potrebbe convenire anche a Damasco, che – se le trattative falliscono e i kurdi rimangono ancora una volta con un pugno di mosche – potrebbe continuare a giocare la carta kurda nel suo braccio di ferro con Ankara. E c’è chi avanza anche scenari più torbidi, chiamando in causa certe aree dei kurdi siriani del Pyd-Pkk, che vedrebbero sminuita la loro importanza strategica nei confronti di Bashar- al Assad in caso di una pace kurdo-turco.
«Di fronte a questo crimine, il movimento è più unito che mai», dicono i militanti kurdi, e chiedono al governo francese: come può un assassino agire indisturbato in un quartiere così frequentato e militarizzato come il 10mo arrondissement? Per di più, il Centro di informazioni era costantemente controllato dai servizi segreti francesi, come hanno dimostrato i fascicoli dei militanti arrestati, seguiti e fotografati. Intanto, la mobilitazione continua anche oggi. A Roma, presidio davanti all’ambasciata francese, dalle 10 alle 14.
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