LA VIDEO-POLITICA DI SILVIO Mà¼NCHAUSEN

by Sergio Segio | 14 Gennaio 2013 8:56

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Il risultato più importante dell’avvio della campagna elettorale, in fondo, è proprio questo. Il ritorno del Cavaliere irriducibile e mai domo.
Come il Barone di Mà¼nchhausen che si solleva dallo stagno tirandosi per il codino. Un vero miracolo (non fosse altro per i capelli…). A cui Berlusconi ci ha abituato in altre occasioni. Tuttavia, più che di un miracolo si tratta di una leggenda. Scritta da Berlusconi a proprio vantaggio. Perché la televisione contribuisce a orientare il gioco elettorale. Ma sono altri i fattori a determinare il risultato. Berlusconi ne è consapevole. E ha utilizzato la televisione, insieme ai sondaggi, per annunciare profezie che si auto-avverano. Puntando sulla propria presenza oppure assenza. A seconda dei casi e delle opportunità .
A partire dal 1994, quando “scende in campo” e invade la televisione. In particolare, le proprie reti. Fino al “faccia a faccia” con Occhetto su Canale 5, da Mentana. Dove Berlusconi annuncia che i sondaggi lo danno nettamente vincitore. E Occhetto replica: «Ma siamo in ripresa…». Cioè: abbiamo perso. La sconfitta dei “progressisti”, tuttavia, era già  stata scritta. Dalla capacità  di Berlusconi di interpretare la nuova legge elettorale maggioritaria. E di utilizzare il marketing elettorale per promuovere il proprio prodotto. Anzitutto: se stesso. Artefice del “nuovo” in politica. Un marchio di successo. Attraverso la tivù, inoltre, Berlusconi polarizza il confronto elettorale. Escludendo il “terzo polo”, allora rappresentato dal Patto per l’Italia, composto dal Ppi e dal Patto Segni. Così la campagna elettorale si traduce nella sfida fra lui e Occhetto. Il Nuovo contro il Vetero(comunista).
Nel 1996, invece, Berlusconi perde il confronto con Prodi. In televisione (di fronte a Lucia Annunziata). E alle elezioni. Più che per motivi mediatici, però, per ragioni politiche. Mentre Berlusconi si divide dalla Lega, infatti, Prodi “unisce” i Popolari e la sinistra. E allarga l’alleanza a Rifondazione, attraverso un patto di desistenza. Da lì in poi, il Cavaliere non accetterà  più “faccia a faccia”, per quasi 10 anni. Non per paura, ma perché non gli conviene. Nel 2001 evita il confronto con Rutelli
— troppo giovane e brillante, per lui. Perché rischiare quando i sondaggi lo danno in largo vantaggio? Le tivù servono ad accreditare la convinzione della vittoria già  scritta. Dai sondaggi. I leader di centrosinistra, per primi, ci credono. Evitano intese con Rifondazione e Di Pietro. Mentre Berlusconi aggrega tutti. Dalla Lega alla destra. Salvo scoprire, alla fine, che alla Camera, dove Rifondazione non si presenta, il distacco è minimo. Un punto percentuale: 45% a 44%.
Berlusconi ritorna in tivù, ad affrontare terreno “ostile”, solo nel 2005. A “Ballarò”. Dopo la pesante sconfitta subita alle Regionali. Per contrastare, come sta facendo in questa fase, la convinzione che il suo ciclo sia concluso. Così, all’inizio del 2006, in campagna elettorale, invade di nuovo le tivù. E sfida ogni leader del centrosinistra. In particolare Prodi. Fino all’ultimo faccia a faccia. Concluso dalla promessa del Cavaliere: «Abolirò l’Ici». La disfatta annunciata si traduce in sconfitta di misura. Una quasi-vittoria. Determinata, però, da altri fattori. In primo luogo, la nuova legge elettorale, il Porcellum, che costringe tutti ad allearsi. E permette a Berlusconi di dividere, ancora, il mondo in due: pro o contro di lui. Il Cavaliere, inoltre, utilizza i sondaggi di un istituto americano, per comunicare che la partita non è chiusa. Per sconfiggere lo sconfittismo dei suoi uomini e dei suoi alleati.
In occasione delle elezioni del 2008, simmetricamente, evita di nuovo ogni confronto in tivù. Per non turbare gli equilibri elettorali annunciati dai sondaggi, che lo danno largamente vincente. Per non legittimare un avversario, Walter Veltroni, abile nell’uso del mezzo televisivo.
L’irruzione di Berlusconi in tivù, in questa fase, sfociata nella disfida di “Servizio Pubblico”, dunque, non è una novità . Ripete un modello sperimentato, dal Cavaliere. Il quale rientra in campo e sceglie avversari e partner quando ne ha bisogno. Cioè, quando è in difficoltà . E deve recuperare. Quando deve, anzitutto, convincere i suoi che la partita non è ancora chiusa. Che è possibile farcela. Che lui non è finito. Va in televisione, Berlusconi, per
ridurre il confronto politico in una sfida fra lui e Bersani. Il quale, oggi, appare il vincitore predestinato (dai sondaggi. Forse con troppo anticipo). Per questo, come nel 1994, cerca anzitutto di “scardinare” il Terzo Polo. Il Terzo candidato. Monti. Berlusconi, da Santoro, non ha quasi nominato Bersani, ma ha polemizzato ripetutamente con Monti. Per delegittimarlo. Ma anche per riprendersi gli elettori delusi del Pdl, che guardano con interesse proprio al Professore. Per questo, Berlusconi cerca ora il confronto diretto con Bersani. Per ripristinare, come nel 1994, il gioco bipolare e bi-personale che ha attraversato l’ultimo ventennio.
La differenza, rispetto al passato, è che in questa campagna elettorale il ricorso alla tivù è stato praticato, per primo e in modo bulimico, da altri. Per primo, da Monti. Per far conoscere in fretta il proprio prodotto politico, cioè se stesso. Come Berlusconi nel 1994. Pur non disponendo, a differenza del Cavaliere, di mezzi economici e imprenditoriali adeguati. Né, a differenza di Bersani e del Pd, di struttura organizzativa e di militanti sul territorio. D’altra parte, l’80% degli italiani si informa prevalentemente attraverso la televisione.
Così, quasi vent’anni dopo, ci troviamo ancora in piena video-politica. E mancano ancora 45 giorni dal voto. Non oso pensare cosa possa succedere da qui alle elezioni. Tuttavia, vent’anni dopo, qualcosa è cambiato. Dopo vent’anni di berlusconismo e di marketing politico, Berlusconi ha vent’anni di più. E si vedono tutti. Non è “nuovo”. È invecchiato — e si vede. Anzi: è vecchio, come egli stesso ammette (scherzandoci sopra). Più che vincere gli interessa resistere. Il timore è che insieme a lui non siano invecchiati tutti gli attori politici. Che non siamo invecchiati tutti (noi). Al punto da non riuscire a staccare gli occhi dalla televisione – incapaci di rivolgerli alla società  e al territorio. La lezione delle primarie – e l’incombere della crisi – suggeriscono che il vento sia cambiato. Il prossimo voto è l’occasione per verificarlo. E per dimostrarlo.

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