La rete di auto-aiuto delle nuove famiglie italiane

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È la fotografia scattata oggi dal Censis durante l’incontro «La famiglia italiana va in pezzi… ma non perde pezzi», che restituisce l’immagine di un’Italia profondamente cambiata negli ultimi 10 anni, con 274.000 coppie non coniugate con figli, una crescita del 19 per cento delle famiglie monogenitoriali e un milione di madri sole non vedove.
Un’Italia modificata ma che «ha imparato a far fronte a questi nuovi scenari — sottolinea Giulio De Rita, ricercatore del Censis — con la riscoperta dell’associazionismo». Ad oggi sono più di 5.000 le associazioni di volontariato «ufficiali» che si occupano di supporto alle famiglie e alla genitorialità , circa il 15% del totale; a queste si aggiungono le 11.634 che si occupano di minori. Una rete solidale che fa da contraltare al declino del modello tradizionale della famiglia. Anzi «un reticolo in cui la società  si riaggrega intorno al nuovo concetto di famiglia, causato dall’assenza di risposte “istituzionali”», osserva De Rita. Un «secondo welfare» come lo definisce Maurizio Ferrera, professore Ordinario di Politiche Sociali e del Lavoro all’Università  di Milano, che interviene attraverso fondi e risorse non pubbliche. «Un fenomeno positivo che evidenzia come tra mercato e Stato c’è una società  civile in grado di mobilitarsi e sempre più smarcata dall’assistenzialismo», osserva Ferrera. Su questa scia, solo nel 2012, sul tavolo di Procter & Gamble e Dash, impegnati nell’iniziativa «Idee per le mamme», sono arrivati oltre 400 progetti di associazioni rivolti alle famiglie: 15 sono stati finanziati e presentati ora in occasione dell’incontro del Censis. Tra questi «Una Mamma per Maestra», che ha previsto un servizio di sostegno a domicilio con aiuto nei compiti e «Diritto di poppata», impegnato a garantire ai bambini latte e generi di prima necessità , ai quali, nel 2013 si aggiungeranno altri 15 progetti già  selezionati e approvati.
«L’obiettivo è migliorare la quotidianità  delle famiglie, sempre tenendo d’occhio le possibili sbavature — spiega Ferrera —. Il pericolo è quello di un attivismo iniziale ma che non giunge a maturazione, magari proprio perché il finanziatore decide di estinguere il suo intervento». Oltre a questo c’è il rischio di una diffusione territoriale a macchia di leopardo. «Come esiste già  in Francia, andrebbe prevista una cabina di regia per coordinare tutti i fenomeni associativi». L’associazionismo rilancia in maniera forte il ruolo della società  civile e ci allinea ai Paesi stranieri. Dai dati presentati emerge che in Italia sono circa 5 milioni le persone attive nel settore, anche se non sempre si tratta di un impegno tradizionale di volontariato puro, ma sempre più di un aiuto reciproco da parte delle famiglie. «Un modo di sopravvivenza — commenta l’economista Giacomo Vaciago, docente di Politica economica e Economia monetaria alla Cattolica di Milano — che testimonia la reattività  della società  alla mancata crescita del Paese: associarsi diventa un modo sano per rimboccarsi le maniche».


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