La “Primavera verde” del Golfo dall’oro nero all’energia solare gli sceicchi puntano sulle rinnovabili

by Sergio Segio | 6 Gennaio 2013 8:21

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GERUSALEMME – «Troppo sole fa il deserto», è un proverbio arabo. Ma in quel deserto di sabbia e sole gli sceicchi hanno trovato l’oro per la seconda volta. Perché se fino a oggi è stato l’oro nero, il petrolio, a portare ricchezza, ora tutte le monarchie arabe stanno investendo massicciamente nell’energia solare. Per far fronte all’impennata interna del fabbisogno, per paura dell’esaurimento delle riserve di greggio, ma anche per produrre elettricità  da vendere. All’Europa, innanzitutto, che ne è sempre affamata e oggi è fortemente dipendente dalle importazioni dalla Russia. Qualcuno la chiama con ottimismo la “primavera verde” del Golfo Persico. Ma l’ecologia c’entra poco. C’è un cambiamento in atto, ma è soprattutto questione di business.
Lo dimostrano i numeri. L’Arabia Saudita ha stanziato 109 miliardi di dollari da investire nei prossimi anni nelle fonti alternative di energia, ma quasi tutti andranno in impianti di energia solare. Il Qatar, primo esportatore al mondo di gas liquido, ha un ambizioso piano di riconversione che porterà  il piccolo emirato a soddisfare il 18% del proprio fabbisogno con energia solare: i condizionatori degli stadi dei Mondiali 2022, hanno annunciato entusiasti nella capitale Doha saranno alimentati esclusivamente dal sole. Ad Abu Dhabi (che ha l’8% delle riserve mondiali di petrolio) hanno inaugurato un impianto di energia solare che a regime sarà  il più grande del mondo. Si chiama Sham1 e sta per essere inaugurato: l’equivalente di 300 campi di calcio coperti di pannelli, per sviluppare elettricità  pari al fabbisogno di 33 mila famiglie. Ma il progetto prevede anche Sham2 e Sham3. Ma perché chi ha costruito la propria fortuna e un potere globale sui combustibili fossili – petrolio e gas – ora dovrebbe improvvisamente cambiare politica?
C’è un pizzico di coscienza ecologica che sta spuntando anche in quei Paesi per forza di cose storicamente ostili alle fonti rinnovabili. Un corteo con poche decine di ambientalisti locali a Doha a dicembre, in occasione della Conferenza mondiale sul clima, è stato giustamente accolto dagli osservatori internazionali come una novità . Ma non basta a spiegare quanto sta accadendo. I motivi sono lo sviluppo vorticoso dei Paesi del Golfo e gli studi sulle riserve di petrolio. Da un rapporto diffuso a fine anno emerge che, a questo ritmo di crescita, i Paesi arabi rischiano di diventare tra vent’anni importatori di energia. Tutto il petrolio e il gas nel 2032 potrebbero non bastare a coprire i consumi interni. Poi ci sono le stime sulle riserve di petrolio in esaurimento in dieci-venti anni a seconda degli studi. Numeri sui quali non tutti gli esperti sono d’accordo. Ma vale la pena rischiare tra 20 anni di trovarsi senza niente?
La risposta è no. L’esempio dell’Arabia Saudita spiega perché: l’80-90 del suo bilancio è legato al petrolio che vale il 45% del Pil e il 90% dell’export (324 miliardi di dollari nel 2011). Senza l’oro nero cosa resta? Forse il sole. Anche perché le nuove tecnologie hanno reso i pannelli solari più efficienti ed economici. L’Arabia Saudita li utilizzava già  per la desalinizzazione dell’acqua marina, ma solo in determinati condizioni geografiche e climatiche. Perché il problema dei pannelli nel deserto era la sabbia, ma la tecnologia ha risolto anche quello. I nuovi modelli già  in commercio hanno bisogno di meno acqua per essere puliti (non una questione da poco nel deserto). E ne sono in arrivo altri con materiali definiti “resistenti alla sabbia”. Lo ha annunciato la Siemens, frutto del lavoro di una joint venture proprio con Abu Dhabi.
L’ultimo problema era la rete elettrica. Metti i pannelli nel deserto, ma poi quanto ti costa spedire l’energia? Superato anche quest’ostacolo. Ci sono già  forti investimenti per portare energia solare dal Nord Africa in Europa, in particolare Marocco ed Egitto (al quale i Paesi del Golfo hanno già  cominciato a vendere energia solare). Si può usare quella rete. Anche verso l’Europa, che un alto dignitario saudita ha confessato, anonimamente al Financial Times, essere il vero obiettivo: «Vogliamo esportare energia solare, è un piano molto ambizioso».

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