La prima difesa di Mussari: i contratti? Decideva Baldassarri
SIENA — Anche oggi Giuseppe Mussari è tornato a casa. Ogni avvistamento dell’ex presidente del Monte dei Paschi nel giardino della sua villa di Montalbuccio, ai bordi della città , viene ormai segnalato come un evento, interpretato come possibile inizio di un capitolo decisivo in una vicenda che si annuncia ben lunga.
Il rientro a Siena è stato in realtà quasi contestuale alle dimissioni «con effetto immediato e irrevocabile» dal vertice dell’Abi, l’Associazione bancaria italiana. Era il 22 gennaio, soltanto otto giorni fa. Quella decisione, che venne facile legare alla incombente vicenda dei derivati sottoscritti segretamente nel 2009 da Mps, ha dato il via a una lunga settimana di turbolenza politica e giudiziaria con l’avvocato senese di adozione nel ruolo del convitato di pietra.
La sua nuova vita non è certo quella di un recluso, basata sulla semplice attesa degli eventi. Sono state almeno due le riunioni con gli avvocati che seguiranno la sua vicenda giudiziaria. Le persone vicine a Mussari riferiscono che in attesa della notifica di nuovi atti giudiziari la sua strategia difensiva sia già delineata nelle linee principali.
«A essere sincero, se mi facessero domande tecniche sui derivati io non saprei neppure cosa rispondere» avrebbe detto. Non si tratta certo di una professione d’ignoranza o di una battuta. Tutt’altro. Piuttosto, sarebbe invece una netta separazione della sua sorte da quella di Gianluca Baldassarri, ex capo dell’area finanza di Monte dei Paschi. Mussari è convinto di poter spiegare ogni dettaglio e ogni cifra del «polo aggregante federativo», il progetto di espansione del Monte attraverso l’acquisto di altre banche che portò infine all’acquisizione di Antonveneta, ovvero il peccato originale. Compreso il prezzo, che oggi, «ma solo oggi» dice, viene considerato esagerato da qualunque osservatore.
Altra faccenda, nonché altro filone di inchiesta, è quella dei derivati ad alto rischio, come gli ormai celebri Alexandria e Santorini, stipulati tra il 2008 e il 2009. Nei colloqui avuti in questi giorni Mussari ha spesso citato la sua avversione verso la cosiddetta finanza creativa, esplicitata negli anni anche con dichiarazioni pubbliche. Baldassarri gestiva in proprio, con deleghe di ampia portata, un portafoglio da due miliardi di Euro. E lo faceva da Milano e da Londra, dettaglio che ricorre spesso nelle sue conversazioni, quasi a ribadire una distanza anche fisica da Siena.
L’unica persona alla quale doveva rendere conto era il direttore generale Antonio Vigni, anche se la sua autonomia era tale da rendere impossibili i presunti «ordini superiori» per il reperimento immediato di denaro attraverso la giostra dei derivati. «Non c’è mai stato un indirizzo della banca in tal senso» ripete Mussari, che manifesta una certa impazienza per la tendenza riscontrata sui quotidiani a unire in un unico mazzo due inchieste che si lambiscono ma che hanno genesi ben diverse.
Da una parte la Banca, con la maiuscola, questo è il ragionamento. Dall’altro l’area finanza. Quasi due entità separate, spesso in conflitto tra loro, in un contrasto interno che non sembra ininfluente sulla storia recente del Monte. Mussari ribadisce che i derivati al centro della nuova inchiesta della Procura di Siena siano giunti all’attenzione del Consiglio di amministrazione di Mps solo nel 2010, quando Bankitalia sollevò il problema. Prima l’intervento di sindaci e revisori, infine il Cda, la sequenza è stata questa. «Noi abbiamo saputo quando l’irreparabile era ormai avvenuto» ripete l’avvocato.
La rivendicazione di “ogni responsabilità morale” nell’affaire Antonveneta si accompagna alla presa di distanza da ogni accusa nei suoi confronti per i derivati ad alto rischio. «Si tratta di due vicende ben distinte» dicono le persone vicine a Mussari. «E nella seconda anche lui si sente una vittima». Due inchieste che si incrociano, due destini separati, almeno oggi, almeno a parole. Ognuno per sé.
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