La marcia del mullah nemico dei talebani

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A guidare la manifestazione è Tahir-ul-Qadri, un imam sessantunenne vissuto in Canada per anni, che si è inimicato sia i talebani pachistani che il governo. Ma che ha sollevato anche sospetti sulle sue reali motivazioni e sull’origine dei suoi fondi. Alcuni, infatti, lo accusano di voler riportare al potere l’esercito, facendo saltare le elezioni previste in primavera — che segnerebbero la prima volta in 65 anni di esistenza che il Paese vive una pacifica transizione da un governo civile ad un altro.
Pur essendo tornato solo il mese scorso nel natio Pakistan, questo imam sunnita influenzato dal sufismo (che da giovane ha anche studiato in una scuola cristiana) è noto per aver pubblicato nel 2010 una fatwa di 600 pagine contro il terrorismo, in cui argomentava che non solo è haram (proibito) ma kufr (un atto da miscredenti). Il suo monito ai jihadisti: «Credete di andare in paradiso e che vi aspettino 72 vergini? Vi sbagliate, finirete tra le fiamme dell’inferno». Parole che hanno portato i talebani pachistani a inserirlo nella loro lista nera. La sua organizzazione non governativa «Minhajul Quran» ha fondato centinaia di scuole per insegnare il Corano in Pakistan secondo questi princìpi, e per promuovere il dialogo interreligioso.
Un paio di settimane fa, Qadri ha lanciato un ultimatum ai politici del Paese, accusandoli di incompetenza e di corruzione, chiedendo la formazione di un governo ad interim, che non sia nominato da loro ma coinvolga l’esercito, la magistratura e altre istituzioni, e che conduca riforme elettorali prima del voto.
A chi gli chiede quale sia l’origine dei fondi per la «marcia di un milione», replica di aver venduto i gioielli della moglie e della figlia e di contare su generose donazioni dei suoi seguaci. A chi lo accusa di voler posticipare le elezioni per mesi o per anni, risponde che il suo scopo è di evitare che il Pakistan continui ad essere governato dalle stesse ricche famiglie che hanno consentito alla povertà  e al terrorismo di fiorire. Sia il Partito popolare del Pakistan, attualmente al potere, che la Lega musulmana pachistana (Pml-N) all’opposizione sono controllati da due potenti dinastie. Il presidente è Asif Ali Zardari, vedovo di Benazir Bhutto, soprannominato «Mister 10%» perché accusato di trarre profitto da ogni affare governativo. Il Paese continua ad essere bersaglio di attentati, come quello che giovedì ha ucciso 96 persone a Quetta, rivendicato dai miliziani sunniti di Lashkar-e-Jhangvi: migliaia di persone ieri hanno vegliato sotto la pioggia rifiutando di seppellire le vittime finché il governo non si impegni a proteggere la comunità  sciita degli hazara, più volte colpita.
Già  membro del Parlamento, Qadri lasciò il seggio nel 2004 dicendosi disgustato dal sistema, e nel 2006 si trasferì in Canada. Un giornalista pachistano lo ha definito, con sarcasmo, l’esportazione più popolare del vicino americano dopo Bryan Adams (dimenticando Justin Bieber). La sua «jihad intellettuale», come la definì lui stesso, mirava a riportare sulla retta via i giovani musulmani sedotti dalla propaganda talebana e qaedista. Un messaggio che ha lanciato da Londra ma che è riuscito a diffondere con decine di libri e con un sapiente uso di YouTube.
Nessuno dei partiti principali del Paese lo ha appoggiato, nemmeno Imran Khan, il campione di cricket passato alla politica, sebbene affermi che i due hanno diversi punti in comune. Il governo ha tentato in tutti i modi di scoraggiare la marcia: avvertendo che, lungo il cammino, i manifestanti saranno esposti al freddo e «a morsi di serpenti», poi bloccando alcune strade di Islamabad e avvertendo che non sarà  permesso l’accesso, infine dichiarando che i talebani minacciano di attaccare la capitale proprio lunedì. Un avvertimento inquietante, che ricorda l’assassinio di Benazir Bhutto nel 2007 durante una grande manifestazione. Ma Qadri ha garantito che la marcia avrà  luogo: «Non ho paura delle bombe né dei proiettili». Ha scritto il testamento prima di partire.


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