La guerra di Monti l’Africano

by Sergio Segio | 17 Gennaio 2013 15:09

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 Non sarà  semplicemente un ‘beau geste’. Pur ridotta nei numeri, la presenza italiana a sostegno delle operazioni francesi in Mali è la prima manifestazione del cambiamento di rotta imposto dal governo Monti alla strategia internazionale del nostro paese. Basta con le spedizioni in aree lontane dai nostri interessi, come è accaduto con il massiccio e costosissimo impegno in Afghanistan: concentriamoci verso il Mediterraneo e l’Africa.

Il contributo alla campagna di Hollande per impedire che gli oltranzisti islamici conquistino il Mali non è ancora stato definito nei dettagli. Ai francesi fanno gola alcuni dei nostri velivoli, molto più moderni dei loro. Le cisterne volanti Boeing dell’Aeronautica, che possono rifornire il  ponte aereo che alimenterà  il contingente francese. E soprattutto i turboelica da trasporto C130J Hercules e C27J Spartan, che i nostri piloti hanno imparato a usare in Afghanistan su piste improvvisate, come quelle del Mali: il colossale arsenale di Parigi difetta proprio di questi mezzi fondamentali per condurre operazioni in zone desertiche.

Un aiuto discreto ma decisivo lo stanno già  dando i satelliti spia italiani. La rete Cosmo- SKyMed messa in orbita negli scorsi anni è specializzata proprio nel sorvegliare il deserto e si è già  rivelata preziosa durante i raid in Libia.

Questi satelliti hanno un sistema radar che permette di scrutare giorno e notte territori molto vasti, ottenendo i risultati più efficaci proprio nella zone sabbiose. Possono individuare anche le singole jeep usate dai miliziani fondamentalisti, le cosiddette ‘tecniche’ che sono diventate protagoniste dei conflitti africani, anche quando sono ferme e sfuggono ai sensori ad infrarosso delle altre vedette spaziali.

Da alcuni anni l’intelligence militare di Roma e di Parigi hanno siglato un patto proprio per condividere le informazioni raccolte dai nostri spioni satellitari: le immagini catturate dai quattro satelliti Cosmo-Skymed vengono trasmesse anche agli 007 francesi, estremamente soddisfatti per l’efficenza di questo sistema costato ai contribuenti italiani un miliardo e 137 milioni di euro.

Ma l’asse tra Francia e Italia nella stagione del governo Monti si è rafforzato anche su un altro dei focolai della regione: il Corno d’Africa, tornato al centro delle attenzioni di Roma dopo anni di disinteresse.

Le campagne contro i pirati che assaltano i mercantili e il contrasto alle fazioni fondamentaliste che continuano a resistere in Somalia sono state l’occasione per sperimentare nuove intese operative sul campo. In prima fila, la Marina con le navi che pattugliano la rotta strategica per i commerci con l’Asia e con un’attività  silenziosa delle forze speciali, i commandos del Comsubin chiamati a compiere ricognizioni e raid contro le basi dei pirati.

A questo si sono unite le iniziative per contribuire alla rinascita delle istituzioni somale. L’ultimo accordo ufficiale è stato annunciato la scorsa settimana, con la decisione di affidare ai carabinieri l’addestramento dei gendarmi somali: il primo embrione di una forza di polizia autonoma a Mogadiscio.

Sono piccoli passi che testimoniano la svolta nelle direttrici della nostra politica estera, condotta essenzialmente con le missioni militari. Con il ritiro progressivo dall’Afghanistan, il baricentro sta tornando nel Mediterraneo e nei paesi africani.

Il Libano, ad esempio, dove il governo Prodi raccolse il massimo successo internazionale intervenendo proprio al fianco dei francesi per porre fine alla guerra lanciata da Israele.

Nella stagione berlusconiana il nostro contingente è stato abbandonato, senza sfruttare le potenzialità  politiche e commerciali del nostro contingente sotto la bandiera dell’Onu. Invece ora la crisi siriana ha trasformato la presenza italiana nel bastione di una delle aree di crisi più delicata del pianeta. Lo Stato maggiore di Roma ha mantenuto ottimi rapporti con la Giordania, con esercitazioni comuni che potrebbero diventare la base di un futuro ingresso in Siria per ragioni umanitarie: uno scenario che negli ultimi mesi è diventato sempre più concreto.
Strettissimi anche i rapporti con Israele, segnati da esercitazioni comuni: gli stormi israeliani sono diventati una presenza abituale nei poligoni sardi. E il governo Monti ha firmato un accordo economico fondamentale, che ha reso nel 2012 l’Italia il principale acquirente di armi israeliane. Il contratto prevede l’acquisto di un satellite e un aereo spia per un prezzo superiore agli 850 milioni di euro. In cambio, Israele comprerà  gli aerei da addestramento Alenia-Aermacchi M346.

In Libia oggi si cerca di recuperare gli errori commessi all’inizio della rivolta contro Gheddafi, quando le relazioni troppo strette tra il rais e Berlusconi impedirono di cogliere la portata degli avvenimenti, lasciando a Londra e Parigi la leadership nelle operazioni. Adesso ufficiali di Esercito e Marina sono all’opera a Tripoli per collaborare con la ricostruzione delle forze armate nazionali, nel tentativo di creare istituzioni che rimpiazzino le milizie tribali protagoniste della rivoluzione. E nella speranza che la situazione non degeneri in una nuova guerra civile.

Anche in Africa i nostri militari hanno mantenuto una presenza piccola, ma sufficiente a fornire il know how per futuri impegni su scala più larga. Con il mandato delle Nazioni Unite, ci sono state spedizioni di addestramento o sostegno logistico in Uganda, Sudan, Eritrea. Forti i legami con il Senegal, diventato l’alleato principale dell’Occidente sulla costa occidentale. Nell’ottobre 2010 le due navi portaelicotteri San Giorgio e San Marco hanno sbarcato un battaglione di marines italiani sulle coste del Senegal, in un wargame al fianco di francesi, inglesi e spagnoli. La prova generale di quello che potrebbe accadere nel futuro prossimo.

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