La doppia strategia di Maroni per convincere il Carroccio
MILANO — Mentre Roberto Maroni gioca la sua partita in campo, ad Arcore, Matteo Salvini lavora ai fianchi. Duro, e con studiata scelta dei tempi: proprio negli stessi minuti in cui il leader leghista varca i cancelli del villone in Brianza, il segretario lombardo con il Tg3 serale sceglie il registro ultimativo: «Con Berlusconi in campo, non è possibile alcun accordo».
Il punto è tutto lì, il problema è sempre quello. Perché la Lega l’accordo lo vuole, con tutte le sue forze: è indispensabile per vincere in Lombardia, per portare un risultato di prima classe ai militanti che lo attendono da anni, per premere con tutti e due i piedi sull’acceleratore del nuovo sogno, l’Euroregione del Nord, con Piemonte, Lombardia e Veneto allineate sotto la guida leghista. Per Roberto Maroni è l’alternativa tra uno scintillante successo e la débacle della strategia messa in campo fin dalla sua elezione a segretario federale.
La differenza, come torna a sottolineare Salvini, è nel nome di Silvio Berlusconi: per la base leghista, il candidato premier non può essere lui. Maroni, nelle ultime settimane, è riuscito a persuadere parecchi dei dirigenti: turarsi il naso non è semplicemente ragion di Stato, è questione di vita o di morte. Per questo non esita a spargere ottimismo a piene mani. Come ieri su Twitter: «Giro tra la gente e sento entusiasmo per la mia candidatura alla Presidenza della Lombardia. Un sogno? Io ci credo: Lombardia in testa».
Però il segretario leghista sa che un passo falso rimetterebbe in discussione anche gli equilibri interni al Carroccio e la sua segreteria. Non ci vuole un indovino. Giusto ieri il suo storico avversario, l’ex capogruppo alla Camera Marco Reguzzoni, ha scritto un affilato post su Facebook: «Con l’obiettivo di tenere i nostri soldi a casa nostra eravamo alleati con il Pdl al Governo e in Lombardia». Poi, però, «hanno voluto rompere l’alleanza perché volevano “pulizia” sostenendo che non avremmo ottenuto niente e che bisognava “ascoltare la base”. Abbiamo fatto cadere la Regione Lombardia per questo motivo. E adesso? Credo che nella vita ci voglia un minimo di coerenza».
Un commento anche alle parole di Salvini, maroniano di ferro, che prima di aggiustare il tiro in serata, con alcune interviste aveva dato la sensazione di essere disposto a qualche compromesso in vista della vittoria in Lombardia: «Si può vincere da soli o in compagnia ma se vogliamo essere più forti sarà necessario farci sostenere dalle quattro liste civiche che già ci sono e dal Pdl». Anche «se ci mettiamo a sentire i militanti loro diranno che è sempre e comunque meglio correre da soli». Proprio quello che ripetono a Maroni i tanti dirigenti di territorio che vedono un nuovo accordo con Berlusconi come il fumo negli occhi, «una trovata impossibile da spiegare — dice uno di loro — che ci costerebbe la metà degli elettori». Resta il fatto che, come ricorda Salvini, «il centrosinistra in Lombardia è intorno al 30%», e probabilmente anche più avanti. E dunque, niente alleanza significa mettere la vittoria in Regione ad altissimo rischio.
Il piano B consiste nel sospendere la designazione a premier di Silvio Berlusconi fino a dopo le elezioni: in fondo, il Porcellum chiede di indicare il capo della coalizione, non il candidato premier. Ma un eccesso di furbizia in un caso come questo, avvertono gli amministratori locali, rischierebbe di essere pagato salatissimo sul territorio in tutte le future tornate amministrative: «E una Lega senza sindaci, che Lega è?».
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