La difesa di Formigoni «Mai dissipato un solo centesimo»
MILANO — «Non un reato è stato commesso, non un centesimo di denaro pubblico è stato dissipato. E nessuno potrà dimostrare il contrario»: Roberto Formigoni, non senza imbarazzo all’apertura dell’Anno giudiziario a Milano, reagisce alla notizia che la Procura, dopo averlo inquisito per i finanziamenti regionali alla Fondazione Maugeri, ora lo indaga sempre per corruzione ma anche in relazione a quelli al San Raffaele del defunto don Luigi Verzé.
A rispondere al presidente della Regione, in anticipo e indirettamente, è l’informativa della polizia giudiziaria del 27 giugno 2012 agli atti dell’inchiesta: i «benefit del governatore» (quelli elargitigli dall’amico e mediatore Pierangelo Daccò, anche lui indagato) «sono garantiti con somme provenienti da pagamenti illeciti e da fondi illegittimamente sottratti dalle casse» del San Raffaele e della Maugeri, «che a loro volta distraggono somme erogate dalla Regione». Formigoni era già indagato dallo scorso anno per i viaggi, l’uso esclusivo di yacht, un contributo elettorale e la vendita scontata al coinquilino Perego di una villa in Sardegna. Favori e beni stimati dai pm Greco, Pedio, Pastore e Ruta in complessivi 7,5 milioni di euro usciti dalla «cassaforte/bancomat» di Daccò, mediatore in Regione per conto della Maugeri e del San Raffaele, che negli anni l’hanno beneficiato rispettivamente con 60 milioni e con 7/8 milioni. E agli atti c’è una perizia di un consulente tecnico dei pm che evidenzia anomalie amministrative nelle delibere di alcuni finanziamenti del Pirellone 1995-2010: «Questo famoso consulente non ha capito nulla, e non è con l’ignoranza che si possono sollevare accuse», gli replica però Formigoni.
Tra i flussi di denaro all’esame degli inquirenti, intanto, c’è il milione di euro che il 24 dicembre 2008, 24 ore dopo aver ricevuto circa 2,5 milioni dal San Raffaele, esce dalle casse della «Metodo», la società dei costruttori Zammarchi fornitori del San Raffaele, per approdare alla «Mtb» svizzera di Daccò a titolo di caparra per la compravendita da 6 milioni di un terreno in Cile. Se la «Metodo» non verserà il resto entro il giugno 2009, «Mtb» si terrà la caparra: come avviene. Per la polizia giudiziaria, è una finzione, un modo per giustificare il milione dato a Daccò. Quando, il 18 luglio 2011, Cal si suicida nel pieno dell’inchiesta giudiziaria, la caparra rientra nelle casse della «Metodo» come restituzione da parte della «Mtb». Per gli investigatori è un «tentativo maldestro di giustificare la precedente illecita uscita», messo in atto dagli stessi Zammarchi usando fondi neri propri.
A mettere la Procura sulla traccia di questo milione era stato Danilo Donati, addetto alla sicurezza del San Raffaele e molto vicino a Don Verzé. Donati aveva dichiarato che a metà 2010 Gianluca Zammarchi e il socio Andrea Bezziccheri gli avevano detto che, su richiesta di Cal e indicazione di Daccò, avevano dovuto pagare «un milione di euro in contanti, in Svizzera a Lugano, al commercialista di Formigoni per esigenze di spese personali di quest’ultimo e per la barca di Formigoni». Donati precisò che Cal non gli disse «esplicitamente che pagava Formigoni», tuttavia gli «fece capire che Daccò era il referente di Formigoni e che attraverso di lui passavano i pagamenti “riservati” al presidente». In un successivo interrogatorio Donati ha però fatto una «sostanziale ritrattazione», dichiarando che in realtà non sapeva «nulla di Daccò quale collettore di tangenti per conto di Formigoni». Ma i pm ritengono di superare la ritrattazione in relazione «alle spese della barca di Formigoni», perché esse sarebbero confermate da «numerosi testimoni qualificati», come gli equipaggi delle barche di Daccò usate negli anni. «È la solita minestra riscaldata — dice dell’inchiesta il legale di Formigoni, Mario Brusa —. Appare in ogni caso sorprendente come le notizie tecniche, anziché agli interessati, filtrino in precedenza con sorprendente sapienza agli organi di stampa». La nuova accusa è infondata pure per il legale di Daccò, Giampiero Biancolella, che chiede «il risveglio della coscienza dei garantisti: Daccò da un anno è in carcere per gli stessi fatti, ma il presunto concorrente è a piede libero. Evidentemente la custodia cautelare non è necessaria».
Luigi Ferrarella, Giuseppe Guastella
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