La contro-ricostruzione dei pm “No, l’input partì dai politici”

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PALERMO — «La trattativa dei carabinieri partì da un input politico », dice il pubblico ministero Nino Di Matteo nell’aula bunker dell’Ucciardone: «Dopo l’omicidio dell’eurodeputato Dc Salvo Lima, nel marzo ‘92, ci fu un asse fra l’onorevole Calogero Mannino e il generale Antonio Subranni. L’ex ministro democristiano temeva di essere ucciso e allora si rivolse al maresciallo Giuliano Guazzelli, che poi attivò i vertici del Ros». Per questa ragione si sarebbero mossi il colonnello Mario Mori e il capitano Giuseppe De Donno, avviando un «dialogo segreto» con l’ex sindaco mafioso Vito Ciancimino.
Nel giorno in cui il presidente della commissione antimafia illustra la sua relazione, la Procura espone in aula l’atto d’accusa sulla trattativa che si sarebbe intrecciata con le stragi del ‘92-’93. Ed è tutt’altra ricostruzione, che chiama in causa i politici. Dopo Mannino, il pm Di Matteo cita un altro esponente Dc che avrebbe avuto un ruolo in quel «dialogo dalle conseguenze devastanti», come lo chiama la Procura: è l’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino. «Ha dichiarato il falso», dice Di Matteo, che all’udienza preliminare del processo “trattativa” parla in rappresentanza di tutto il pool, composto dai pm Teresi, Sava, Del Bene e Tartaglia. «Mancino ha detto di non aver saputo nulla del dialogo fra il Ros e Ciancimino», spiega il magistrato: «È smentito non solo dall’ex ministro Martelli, ma anche dal pentito Giovanni Brusca, che nel ‘96 parlò per la prima volta delle confidenze di Riina, sulla trattativa e sulla sinistra che sapeva. La sinistra Dc di Mancino», chiosa Di Matteo.
Ieri, al termine della prima parte dell’intervento della Procura, Brusca ha chiesto di parlare nel processo che lo vede fra gli 11 imputati. Collegato in videoconferenza, dichiara: «Non sono stato io il primo a dire che la sinistra sapeva della trattativa. L’aveva già  detto Riina in un processo». Il riferimento di Brusca è all’intervento fatto dal capo di Cosa nostra nell’aula bunker di Reggio Calabria. Quella volta, il boss attaccò «i comunisti».
Dice ancora Di Matteo: «La trattativa del ‘92 convinse che era giusto fare la guerra con le bombe per fare la pace. E orientò le scelte successive: non più i politici traditori, ma coloro che si ponevano come ostacoli alla trattativa ». Così, secondo la Procura, Mannino si salvò. E fu ucciso Borsellino.
Il 15 gennaio ‘93, Riina fu poi arrestato dal Ros. «E iniziò una seconda trattativa — sostiene il pm — per l’attenuazione del carcere duro, che poi avvenne». Anche in questo caso, protagonisti non sarebbero stati solo singoli funzionari dello Stato, appartenenti al dipartimento delle carceri. Di Matteo torna a parlare di «copertura politica», assicurata dal presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro: «Ebbe un ruolo nella nomina del nuovo direttore del Dap, Capriotti — accusa il pubblico ministero — e invece a noi ha detto di non aver saputo nulla su quell’avvicendamento».


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