La caccia ai moderati fa lievitare le asprezze
Ma Monti non risparmia sciabolate all’ex premier, ricambiato in tempo reale. D’altronde, è stato il Pdl berlusconiano ad avere provocato la crisi del governo dei tecnici il mese scorso. Ed è sempre il Cavaliere a fornire una versione degli ultimi tredici mesi in termini catastrofici, adesso in tandem con la Lega. Bisogna dunque aspettarsi una guerra di narrative senza requie.
Può darsi che questo conduca ad un’alleanza postelettorale fra Monti e il centrosinistra, come lasciano capire sia il vicesegretario del Pd, Enrico Letta, che lo stesso Bersani. È uno scenario che il premier uscente definisce «almeno prematuro»; e che invece Pdl e Lega, ma anche l’estrema sinistra di Antonio Di Pietro e dell’ex pm Antonio Ingroia danno per certo nella speranza di attrarre voti. Per il momento si assiste soprattutto alla difesa ironica ma dura che Monti fa dei suoi mesi a palazzo Chigi e delle misure approvate. Alle critiche che gli piovono addosso da quando ha deciso di fare una propria lista elettorale, replica chiedendo agli ex alleati come mai abbiano approvato quei provvedimenti.
E Berlusconi è costretto a giustificarsi, a spiegare che non poteva «mandare a casa» quel governo dopo appena venti giorni: «se non votavo l’Imu mi avrebbero messo al muro», si difende. Rilancia tuttavia l’accusa a quello che definisce «un finto professore», di prepararsi con Pier Ferdinando Casini e Gianfranco Fini a togliere voti dal campo moderato per garantirsi «una poltrona» accanto al Pd, dato da tutti vincente. E poi rilancia una sua agenda economica che prevede abolizione dell’Imu, facilitazioni fiscali alle imprese che assumono giovani. Berlusconi demonizza l’«austerità » nel tentativo di riconquistare i delusi.
L’operazione cementa la sua intesa col Carroccio; e punta a intercettare qualche consenso del Movimento 5 Stelle del comico Beppe Grillo. Deve fare i conti anche con la reazione di Monti, però, che ironizza su queste promesse, chiedendo a Berlusconi come mai negli anni al governo non abbia compiuto scelte in apparenza così facili; e perché, se il giudizio su di lui è così liquidatorio, gli abbia offerto appena un mese fa di federare l’intero centrodestra. Qualcuno, nelle file montiane, va oltre. E registrando l’uscita di Mario Mauro dal Pdl ma non dal Ppe, sogna un «processo» a Bruxelles contro il partito berlusconiano, per la scelta di allearsi con una forza eurofobica come il Carroccio. L’ovazione che i Popolari europei hanno riservato a Mauro quando ha annunciato le dimissioni viene additata come un indizio significativo.
Ma un’analisi più fredda fa pensare che solo dopo le elezioni italiane di fine febbraio, e valutando le percentuali ottenute da ogni partito, forse si potranno aprire nuovi scenari. È indubbio che l’accostamento a un leghismo deciso a martellare contro l’Ue non giovi a Berlusconi sul piano internazionale; ma bisogna vedere se e quanto la sua strategia pagherà in termini elettorali. La possibilità che grazie al patto con Roberto Maroni il Pdl conquisti la Lombardia e metta in forse una maggioranza di centrosinistra al Senato non va esclusa. Si indovina anche dal filo di apprensione di un Bersani peraltro piuttosto fiducioso della vittoria. Spero che Monti «non tolga le castagne dal fuoco a Berlusconi e alla Lega», dice alludendo alla doppia candidatura di Gabriele Albertini come governatore della Lombardia e come senatore. Il premier sembra rispondere indirettamente quando si augura che il centrodestra perda. Ma siamo all’inizio.
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