by Sergio Segio | 29 Gennaio 2013 8:11
A proposito di Dimitri Sciostakovic abbiamo osservato la prima caratteristica essere la straordinaria precocità , superiore a quella di qualsiasi altro nella Storia della Musica. Oltre la Prima Sinfonia l’esempio massimo è Il Naso, dalla Novella di Gogol, concepito nel 1928, a ventidue anni, e rappresentato a Leningrado nel 1930.
Un Assessore di Collegio si leva una mattina senza più naso, il volto è una superficie perfettamente liscia. Sùbito prima vediamo il risveglio d’un barbiere ubriacone; costui non osa chiedere alla moglie, oltre a un pane da lei appena sfornato, anche il caffè: prende il pane e nell’aprirlo sente sotto le mani qualcosa di duro, un naso. La moglie comincia a urlare contro di lui, che vorrebbe nasconderlo in casa per qualche giorno, ordinandogli di sbarazzarsene subito. Il barbiere ha fatto la barba il giorno prima all’Assessore, che lo rimprovera sempre perché le mani gli puzzano. Scende per strada e a ogni canto incontra qualcuno, per lo che non riesce a buttare il naso; alla fine lo getta nella Neva, ma viene subito scorto da un poliziotto e interrogato. Del naso però non parla.
Lo sventurato Platon Kuzmic Koval’ev cerca di trovarlo. Si mette in cammino. In Cattedrale il naso, in divisa da Consigliere di Stato, è immerso in profonda preghiera. Lo sventurato lo apostrofa in maniera incerta; il Consigliere nega d’essere un naso e in particolare il naso dell’Assessore. Costui si reca alla redazione di un giornale per presentare una denuncia di scomparsa e la preghiera al pubblico di adoperarsi per far riaverglielo al più presto: l’impiegato rifiuta la pubblicazione «per non guastare la reputazione del giornale» e offre a Platon Kuzmic una presa di tabacco «mano santa contro le emorroidi».
Tuttavia il naso viene alla stazione della diligenza preso a ombrellate da una vedova e scompare, riducendosi alla parte del corpo. Un poliziotto lo restituisce a Platon Kuzmic. Questi, pieno di gioia, tenta di riappiccicarselo ma non ci riesce. Un medico da lui chiamato lo visita e dice che, sì, lui il naso potrebbe ben riattaccarglielo ma non lo fa dicendo che «sarebbe peggio». Un bel mattino Platon Kuzmic si sveglia e si ritrova il naso al suo posto.
Dopo la prima esecuzione, Il Naso, che si mostrava come Opera di dirompente violenza stilistica e modernità , uscì dal repertorio: troppo forti e terrorizzanti l’ambiente le condanne di Zdanov, che accusava Sciostakovic di «formalismo» e di nulla fare per la creazione di un’Opera sovietica dal linguaggio facile onde portare le masse, attraverso tale arte propagandistica, a vieppiù aderire al regime, staliniano, ovviamente. Va rilevato che il «piccolo padre» (batjuska) trattò sempre il grande compositore con indulgenza, che non valse minimamente a dissipare il terrore da lui provato.
Tornò in giro, l’Opera, negli anni Sessanta, la prima recita italiana avvenne nel 1964 al Maggio musicale fiorentino ad opera di Roman Vlad, padre dell’attuale direttore artistico dell’Opera di Roma Alessio Vlad. Le scene erano di Mino Maccari e la regia di Eduardo De Filippo. La più bella versione in assoluto, ancor più bella di quella, bellissima, ora in scena a Roma, è quella avutasi a Palermo per il tramite del Teatro da Camera di Mosca sotto la direzione di Vladimir Agronskij e per la regia di Boris Alexandrovic Pokrovskij.
Il realismo magico e il grottesco di Gogol vengono miracolosamente colti da Sciostakovic, del quale un grottesco «iracondo» è la prima peculiarità caratteriale e stilistica. Si badi che la vicenda è stata da noi narrata non secondo la Novella ma secondo il Libretto dell’Opera, di Evgenij Zamjatin, Georgij Jonin, Alexander Preis e lo stesso Sciostakovic, concepito in una visione scenica che tantissimo deve all’estetica del sommo regista Mejerchold. Fedele d’Amico spiega una parentela estetica e realizzativa con la setta letteraria grandissima dei cosiddetti «formalisti» a partire da Roman Jacobson.
In realtà gli episodà® sono arricchiti di dialoghi e diversivi che diventano preponderanti e che si svolgono secondo processi di straniamento e il continuo trasformarsi dei personaggi in maschere di se stessi. Il mostruoso proliferare scenico rende questo capolavoro uno dei più difficili da allestire, e non parlo solo delle straordinarie difficoltà della scrittura musicale, perché in scena vi sono in tutto sessanta personaggi oltre il coro, diretto da Roberto Gabbiani, i quali a Roma Alessio Vlad porta a quarantacinque interpreti. Onde un sentitissimo ringraziamento al direttore degli allestimenti scenici, il maestro Carlo Savi.
Lo stile musicale, basato innanzitutto sopra un’ambiguità tonale vulgo detta atonalità , è tremendo e rende di continuo la partitura spezzata. Si ha l’impressione che il declamato delle parti vocali, rarissimamente distendentesi in squarci lirici, corra sopra un binario parallelo rispetto alla fittissima partitura orchestrale, sviluppantesi per sentieri astratti, quasi fosse una partitura sinfonica a sé stante: salvo episodà® di forte figuralismo, alcuni dei quali esprimentesi attraverso glissandi del trombone. Trombone solo, giacché la partitura orchestrale è, si sarebbe tentati di dire, cameristica, gli ottoni essendo una tromba, un corno, un trombone, con difficillime scritture solistiche. Amplissimo spazio vien dato alla percussione, che ha un Interludio interamente dedicato a lei, e non sapremmo trovare bastanti parole di elogio per il gruppo percussionistico dell’Orchestra del Teatro dell’Opera, che oggi è diventata la prima d’Italia; e per tutti gli altri solisti.
Nella scena della Cattedrale, il coro, con un soprano solista, intreccia un solennissimo canto liturgico, e inutile è da parte nostra ricordare come il canto liturgico russo, successivo a quello meraviglioso copto, sia d’una bellezza straordinaria, il principale documento artistico del quale sono i Vespri di Rachmaninov. Il Naso è una delle Opere, non voglio dire di tutto il repertorio perché di repertorio ancora non è divenuta, e giustamente, più ardue per il concertatore e direttore d’orchestra.
Le singole parti le ho già descritte, ma gioverà ricordare la scrittura ritmica, cangevole quasi a ogni battuta e costringente direttore e orchestra a una continua opera di concentrazione mentale e di computisteria. Sul podio romano il giovane bonaerense Alejo Pérez, di tale bravura da dar persino fastidio, non manca un attacco e l’Orchestra, che gli tributa un’ovazione, lo chiama «computer». Segue uno per uno tutti i sessanta personaggi, e dona attacchi contemporaneamente a loro e all’orchestra, oltre a possedere uno stile timbrico preziosissimo e un equilibrio, quasi impossibile da ottenere, tra buca e palcoscenico, del tutto raro.
Lo spettacolo è di quelli che si ricordano per tutta una vita. Le scene di Ferdinand Wà¶gerbauer si sviluppano a pieno palcoscenico non del tutto, essendo concepite anche giusta quadretti ritagliati nel primo sipario e posti in alto. Personaggi e comparse percorrono il palcoscenico in lungo e in largo, nei bellissimi costumi d’epoca di Anna Maria Heinrich giusta la regia di Peter Stein. Gli attori debbono anche ballare oltre che cantare. Il protagonista è il brasiliano Paulo Szot, tra gl’innumerevoli interpreti spicca la carissima Elena Zilio. Il commissario di polizia, che ha una parte acutissima, la più acuta di tutto il teatro musicale, è Alexeij Sulimov.
Sono stato colpito dall’affluenza e dal risultato meritamente trionfale, tenuto conto che Il Naso è l’esatto contrario del capolavoro di repertorio melodicamente memorizzabile. Il pubblico di Roma, secondo solo a quello di Palermo, questo non oggi, all’epoca dell’allestimento da parte del Teatro da Camera di Mosca, e di quello napoletano, è un pubblico meraviglioso.
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