Iran, retata di giornalisti scomodi “Collaboravano con l’Occidente”

by Sergio Segio | 29 Gennaio 2013 7:53

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A cinque mesi dalle elezioni presidenziali in Iran per scegliere il successore di Mahmud Ahmadinejad, il regime scalda il motore della macchina repressiva e con un’inaspettata irruzione nelle sedi di cinque giornali non allineati arresta numerosi giornalisti e chiude due siti non graditi. Gli agenti in borghese sono entrati la scorsa domenica nella redazione del principale quotidiano moderato della capitale, Shargh, e in quelle di Bahar, Etemad, Arman e del settimanale Asman, sequestrando computer, cellulari e portando con loro diversi redattori. 
È stata perquisita anche l’agenzia Ilna, mentre sono stati oscurati i siti di Bastab Emruz e di Tabanak, il sito dell’ex comandante dei Pasdaran Mohsen Rezaei. Si conoscono una dozzina di nomi dei giornalisti arrestati, tra cui l’umorista Pouria Alami e il notista politico Saba Azarpeik, mentre il giorno prima erano stati prelevati dalle loro abitazioni e condotti al carcere di Evin Milad Fadaie, caporedattore dell’agenzia Ilna, e Soleyman Mohammadi, caporedattore del quotidiano Bahar. Ci sarebbe una nuova lunga lista di giornalisti “sospetti” e l’accusa per tutti è: «collaborazione con media affiliati a organi sediziosi e anti-rivoluzionari» all’estero, tra cui la Bbc, Voice of America, Radio Free Europa e Radio Farda.
Sorprende il largo anticipo con cui il regime ha deciso di mettere il bavaglio alla stampa, parecchio prima dell’inizio della vera e propria campagna elettorale. Precedentemente, secondo un tacito accordo, la stampa poteva godere di una relativa libertà  per vivacizzare la campagna e prevenire l’astensionismo. Per molti osservatori questa volta il regime teme di trovarsi di nuovo impreparato di fronte alle ondate di protesta che potrebbero precedere e seguire le prossime elezioni, com’è accaduto nel 2009, dopo la rielezione di Mahmud Ahmadinejad. 
La pesante irruzione nelle sedi dei giornali potrebbe essere quindi il preludio di una nuova ondata di repressione e di violenza nel paese. Il pugno di ferro è intanto collegato al caos che regna nella stessa destra integralista, spaccata in più fazioni contrapposte. Fa discutere in questi giorni in Iran l’ultima uscita di una delle figure più note dei fondamentalisti, Habibollah Askaroladi, che ha definito «senza fondamento l’accusa di sedizione e di complotto nei confronti di Moussavi e Karrubi», i due leader del movimento d’opposizione Verde, tuttora in carcere. La difesa dei due capi dell’opposizione da parte di un esponente in vista della destra ha provocato una violenta reazione da parte degli ambienti legati a Khamenei. Ma anche Ahmadinejad è accusato del “deviazionismo”, perché cerca di far passare la candidatura del suo protetto Efsandiar Rahim Mashaei, odiato da candidati come Velayati, appoggiato dalla Guida della rivoluzione. Con lo spostamento della faida politica nel campo degli integralisti, i riformisti e i loro potenziali candidati, Shariatmadari e Aref, sembrano per il momento condannati a restare fuori dal dibattito pre-elettorale.
Ma la repressione contro i media chiama in causa anche una delle figure storiche della Repubblica islamica, il vecchio Hashemi Rafsanjani, ricomparso nelle stesse ore in cui venivamo arrestati i giornalisti per sottolineare la sua vecchia e irreversibile amicizia con l’Ayatollah Khamenei e annunciare: «Se dovessi convincermi che nessun altro oltre me potrà  affrontare le odierne difficoltà  del paese, non esiterò e mi candiderò».

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