INNANZITUTTO I DIRITTI CIVILI
Un suo eventuale governo non li avrebbe come temi prioritari nella sua agenda, lasciandoli all’iniziativa del Parlamento. Stava rispondendo a una domanda specifica sulla questione del riconoscimento delle coppie omosessuali, ma la risposta vale per l’intero arco dei diritti di cui si discute da anni: fine vita e testamento biologico, riproduzione assistita e divorzio breve. Nodo di infuocate controversie tra politici sotto l’ombra del monito sui “valori non negoziabili” della gerarchia cattolica, sono la causa di gravi sofferenze e umiliazioni per chi continua a vederseli negati. E continuerà a non averli per un bel pezzo, fino a che si continuerà a pensare che la libertà e la dignità delle persone, il riconoscimento della loro capacità di prendere decisioni importanti su questioni di vita e di morte, del valore non solo individuale, ma sociale, dei loro rapporti di amore e solidarietà , non hanno mai carattere di urgenza, direi di necessità .
Siamo alle solite. I diritti civili – specie quelli di coloro cui sono negati – vengono sempre “dopo”.
Il vetero-marxismo della distinzione tra struttura e sovrastrutture è sempre di moda, anche tra gli autonominati liberali, pardon riformatori. I diritti civili (ma in larga misura anche quelli sociali) non fanno parte dell’agenda Monti, quindi non rientrano nel 98 per cento di accordo sul programma da Monti richiesto per essere disponibile a una qualche alleanza dopo le elezioni. Ma evidentemente non fanno neppure parte degli impegni di adesione e fedeltà richiesti a chi già da ora corre con lui, in primis a Casini e al suo partito, ma anche ai cattolici che imbarcherà come tali nella sua lista civica. Una lista civica che avrà al suo
centro, perciò, pressoché solo l’economia, sulla quale, evidentemente, Monti pensa ci possa essere una ricetta unica non negoziabile, la sua (con buona pace di posizioni diverse sostenute non solo da Fassina, ma di economisti di fama internazionale). Per il resto, in particolare sui diritti civili e di libertà , è più che disposto, ad una cessione di sovranità dal governo al Parlamento, lavandosene pilatescamente le mani: attento a non esprimere neppure una posizione personale per non incrinare il patto con Casini, con i cattolici del meeting di Todi e, soprattutto, per tenersi stretto il sostegno platealmente ricevuto dal giornale del Vaticano. Finché faceva il presidente tecnico di un governo tecnico, chiamato ad affrontare problemi economici urgenti, questo atteggiamento era non solo legittimo, ma doveroso. Come candidato premier e come proponente di una Agenda per l’Italia, lo è molto meno. È chiaro che il Parlamento, alla fine, è sovrano. Ma, dato che in Parlamento andranno coloro che sono eletti sulla base di un progetto per il paese, non sembra troppo chiedere che cosa pensano e che cosa intendono fare, nel caso andassero al governo, su questi temi, e in particolare che cosa pensa chi dice di essere entrato in politica proprio perché ha un’idea di Italia per cui vuole impegnarsi.
C’è da sperare che, nella disperata rincorsa al centro e a candidati che rappresentino il fantomatico elettorato cattolico, il Pd non segua la stessa strada, mettendo la sordina sui diritti civili. Lasciarsi alle spalle il vetero-marxismo ed essere degli autentici liberali è, su questi temi, una necessità insieme politica
e civile.
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