Incubo senza fine nel deserto Mancano ancora decine di ostaggi

by Sergio Segio | 19 Gennaio 2013 7:51

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Cominciano ad arrivare i racconti dei sopravvissuti. Chi si è nascosto in un buco del soffitto dei dormitori, chi è rimasto sotto il letto per oltre 40 ore aiutato da un collega algerino che di tanto in tanto passava un boccone di pane e la borraccia dell’acqua approfittando di un momento di distrazione dei rapitori. Il radio operatore dell’impianto, Azedine, 27 anni, ha detto ai media locali di aver visto il corpo senza vita del suo caporeparto francese: «L’hanno ucciso a colpi di mitra. Non ho assistito all’esecuzione. Ho solo sentito la raffica. Poi, scappando, l’ho visto sdraiato a terra nel sangue». Alcuni tecnici inglesi parlano della loro fuga disperata nel caos del blitz delle teste di cuoio algerine giovedì mattina. Qualcuno testimonia di aver udito centinaia di colpi. Molti all’inizio manco avevano capito si trattasse di un attacco terroristico. «Pensavamo fosse un’esercitazione. Solo più tardi ci siamo resi conto che volevano prenderci davvero», dicono alle radio occidentali. «Cercavano gli stranieri. A noi algerini hanno ordinato di prendere la nostra roba e andare via subito», spiegano i locali di questa primitiva e spiccia selezione imposta dai terroristi.
Sono le prime testimonianze dei lavoratori stranieri e locali nel grande impianto di estrazione del gas di In Amenas, nel cuore del deserto algerino, poco distante dal confine con la Libia. E sono conferme della situazione di caos, violenza e morte che ancora impera sul posto. Ci si salva per puro caso, non è strano, sull’impianto lavorano oltre 700 persone, circa un quinto stranieri: la barba lunga, i capelli scuri e magari una rudimentale conoscenza dell’arabo, possono rappresentare la vita al posto della morte. Ieri sera ancora non era chiaro il bilancio delle vittime. Nonostante giovedì sera ad Algeri la tv di Stato avesse annunciato «la fine del blitz», ieri è stato evidente che le operazioni continuavano e dunque il numero finale delle vittime potrebbe essere molto diverso. Comunque, questi i dati forniti nelle ultime ore dalla agenzia stampa algerina Aps: il blitz lanciato giovedì mattina dai commando governativi (24 ore dopo l’attacco di una trentina di qaedisti) avrebbe liberato oltre 670 lavoratori, di cui 100-130 stranieri. «Tra i morti accertati vi sono 18 terroristi e 12 ostaggi tra stranieri e algerini», ha sostenuto l’Aps senza fornire dettagli sulla nazionalità . Altre fonti indicano che sino ad ora gli stranieri morti sarebbero tra 4 e 6. Però sarebbero ancora 32 quelli nelle mani dei qaedisti.
Chi sono? Difficile specificare. Il Giappone segnala 14 cittadini mancanti e solo 3 salvi. Per la Norvegia i dati sono rispettivamente 8 e 5. Parigi parla di 2 francesi salvi, confermando una vittima (tra i morti anche un americano). Tra gli ostaggi liberati ci sarebbero 5 cittadini Usa, un irlandese e un austriaco. A conferma che i terroristi hanno comunque nelle loro mani degli americani sta la loro proposta per uno «scambio di prigionieri»: due ostaggi Usa in cambio di Omar Abdel Rahman, lo sceicco in carcere per il tentativo di attentato al World Trade Center nel 1993, e della scienziata pachistana Aafia Siddiqi, condannata nel 2010 per aver cercato di assassinare cittadini americani. La risposta da Washington non si è fatta attendere. «Gli Stati Uniti non trattano con i terroristi», replica il Dipartimento di Stato, in accordo con la politica di inflessibilità  adottata dal governo di Algeri. A rincarare la dose c’è anche il segretario alla difesa Usa, Leon Panetta, che, dopo aver incontrato il premier britannico David Cameron a Londra, ha aggiunto: «Non daremo tregua ai terroristi di Al Qaeda in Algeria e in Nord Africa». Ma ciò non significa che a In Amenas il pericolo sia cessato. Tutt’altro: ad Algeri i giornalisti locali sottolineano che i combattimenti continuano. «Siamo preoccupati per gli ostaggi», ha dichiarato il segretario di Stato uscente, Hillary Clinton. A sottolineare l’emergenza sono stati istituiti aerei speciali per evacuare le migliaia di lavoratori stranieri da tutto il Paese

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