In migliaia omaggiano le tre militanti del PKK uccise il 9

by Sergio Segio | 16 Gennaio 2013 8:11

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I corpi di Sakine Cansiz, 55 anni, Fidan Dogan, 32, e Leyla Saylemez, 24, hanno lasciato ieri mattina l’Istituto di medicina legale, dove si è svolta l’autopsia. Coperte dalle bandiere del PKK, il Partito dei Lavoratori del Kurdistan, le tre donne hanno ricevuto l’omaggio delle famiglie, delle organizzazioni femminili e dei movimenti, arrivato apposto nel comune di Villiers-le Bel, nel nord della capitale francese. Le salme sono partite per Diyarbakir, principale città  kurda in Turchia, dove oggi si svolgerà  un’altra cerimonia, al termine della quale le bare verranno trasportate nelle città  di origine delle militanti: Sakine sarà  sepolta a Dersim, Fidan a Elbistan (Maras) e Leyla a Mersin. Con la morte delle tre donne, scompaiono tre figure importanti del movimento indipendentista (Cansiz, in particolare, era co-fondatrice del PKK): uccise da «professionisti» – dicono gli inquirenti francesi, che hanno affidato il caso all’antiterrorismo. Un colpo inferto alla pace, affermano le rappresentanze kurde. Dopo il fallimento di un primo tentativo, portato avanti dal 2009 al 2011, sono infatti riprese le trattative tra il governo turco e il dirigente del PKK, Abdullah Ocalan, prigioniero dal ’99 sull’isola di Imrali. Il 3 gennaio scorso, anche due deputati kurdi hanno potuto visitare Ocalan, una seconda delegazione è arrivata in carcere domenica scorsa, e ieri anche il fratello del leader ha potuto incontrarlo. E ora, anche gli avvocati, che non incontrano il loro assistito dal luglio 2011, sperano di ottenere un nuovo colloquio.
«Gli omicidi di Parigi sono l’equivalente del genocidio di Dersim», ha dichiarato Ocalan. Nella provincia di Dersim (rinominata Tunceli), nel 1937, i kemalisti schiacciarono ferocemente la rivolta dei kurdi aleviti, uccidendo quasi 14.000 civili e continuando a massacrarne altri 70.000 in diverse occasioni. Una strage per cui, nel 2011, il primo ministro turco, Recep Tayyip Erdogan, ha chiesto scusa in Parlamento, attirandosi gli strali delle componenti ultranazionaliste, che lo hanno accusato di essere troppo bendisposto nei confronti dei kurdi e di preparare la spartizione del paese. Un gesto che, in ogni caso, non ha fermato il massacro dei kurdi, né ha fatto avanzare in modo concreto le trattative.
Oggi, Erdogan sembra intenzionato a impegnarsi in un nuovo giro di colloqui con il movimento indipendentista, ma gli ostacoli che incontra non sono pochi, sia all’interno del suo paese che fuori. Per l’omicidio delle loro compagne – compiuto in un edificio supersorvegliato dai servizi segreti francesi -, i militanti indipendentisti accusano «lo stato turco profondo», «la Gladio turca» e i gruppi fascisti. Ieri, Remzi Kartal, leader del Congresso del Popolo del Kurdistan (KONGRA-GEL) ha riportato alcune informazioni di intelligence ricevute precedentemente, relative a squadre di esecuzione turche inviate in Europa nel 2011. Kartal ha sottolineato di aver anche condiviso quelle informazioni con le autorità  competenti in Belgio – dove si trovava in quel momento – perché le verificassero. Sospetti che gravano anche su questi nuovi omicidi, sui quali il governo turco ha chiesto a sua volta a Parigi di fare chiarezza: insistendo, però, sulla tesi della faida interna al movimento indipendentista.

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