Il terribile decennio che ha cambiato il mondo
Una delle costanti dei movimenti sociali del tardo Novecento e di questo inquieto e tuttavia opaco inizio di nuovo millennio è di guardare con curiosità , diffidenza o, all’apposto, empatia agli anni Settanta. Il decennio terribile, irrappresentabile, una miscela indigeribile di violenza, radicalismo verbale, utopia sanguinaria, fino a intravedervi le radici del ventennio berlusconiano. Queste le retoriche che accompagno gli anni Settanta, tacendo, per il momento, sulle mitologie elaborate per difendere il tentativo di compiere una rivoluzione che non seguisse il solco tracciato da quella sovietica. È però uscito un piccolo volume che si propone di raccontare, al di là della denigrazione o dell’apologia, agli adolescenti e ai giovani di questo opaco presente gli anni Settanta. Lo ha scritto Marco Grispigni, storico che ha avuto la sua educazione sentimentale alla politica nella seconda metà degli anni Settanta e che si è più volte misurato con temi di quel periodo. Si tratta di un libro illustrato (i disegni sono di Andrea Nicolò, mentre il titolo è un asciutto Gli anni Settanta, manifestolibri, pp. 80, euro 14).
Il primo elemento che colpisce è la scelta di un linguaggio piano, asciutto, che punta sempre all’essenziale. Il secondo fattore che contraddistingue il libro è la periodizzazione. Il decennio viene fatto iniziare nel Sessantotto, per poi assumere alcune date come simboliche: il 1973, quando gli Stati Uniti impongono il dollaro come moneta di riferimento mondiale e «esplode» la prima crisi petrolifera; il 1975, anno della proclamata sconfitta degli Stati Uniti in Vietnam; il 1977, anno dell’irruzione sulla scena pubblica di movimenti che affermano la loro discontinuità con il Sessantotto. Chiude il decennio le vittorie elettorali di Margaret Thatcher e Ronald Reagan, rispettivamente nel Regno Unito e gli Stati Uniti.
Già questa periodizzazione chiarisce la prospettiva globale che il libro vuole offrire. Certo, l’Italia è al centro dell’attenzione, ma quello che accade nella penisola viene all’interno di uno scenario mondiale.. Sempre con grande capacità di sintesi, Grispigni analizza la realtà italiana all’interno di un contesto che vede manifestarsi, con le dovute differenze, dinamiche sociali, economiche e politiche presenti negli altri paesi europei, negli Stati Uniti e in quello che è stato poi chiamato il Sud del Mondo.
Così il discorso sull’austerità che tanto spazio occupò nella discussione pubblica italiana ha maggiori spiegazioni se viene inserito all’interno della crisi petrolifera e in quella «crisi fiscale dello stato» denunciata anche al di là delle sponde dell’Atlantico. Dovuta sì all’aumento della spesa pubblica, ma soprattutto alla prima grande crisi del capitalismo su scala planetaria.
Marco Grispigni non omette nulla. Parla della violenza che ha contraddistinto il decennio, ma cerca di spiegarla, facendo riferimento ai colpi di stato imposti dagli Stati Uniti nel continente latinoamericano per fronteggiare la crescita di consenso popolare verso i partiti della sinistra socialista e marxista. Ma anche, e questo vale soprattutto per l’Italia, delle stragi compiute dai gruppi neofascisti per destabilizzare il sistema politico con la complicità dei servizi segreti.
Nel volume è ampiamente affrontato anche il tema del radicalismo verbale che ha contraddistinto gli anni Settanta. Ma l’autore è convinto, a ragione, che la radicalità era dovuta alla volontà dei movimenti di trasformare nel profondo le società . Tale radicalità ha consentito nel nostro paese, ad esempio, l’affermazione di alcuni diritti sociali e individuali prima di allora negati dal sistema politico. Lo Statuto dei lavoratori, la formazione di un servizio sanitario nazionale, il diritto alla pensione, il diritto a divorziare, la chiusura di alcune istituzioni totale come i manicomi (dei piccoli lager dove la dignità era sistematicamente calpestata in nome di una supposta normalità da difendere da comportamenti «folli»).
Si potrebbe affermare che gli anni Settanta hanno imposto una modernizzazione del sistema politico e dei costumi. La scelta di scandire la parte centrale del volume attraverso della parole chiave – crisi, liberazioni, conflitto, femminismo, crisi ad esempio – potrebbe tranquillamente rafforzare questa interpretazione. Ma non è così. La modernizzazione è stata una risposta per contenere movimenti che tendevano a forzare gli equilibri e le compatibilità politiche e economiche. Come dimostrano anche le pagine del libro dedicate alle culture, alla musica di quegli anni, che operano una cesura con le culture critiche della sinistra, prospettando appunto stili di vita difficili da riportare alla normalità .
In altri termini, la migliore rappresentazione degli anni Settanta è contenuta nell’espressione «rivoluzione mondiale» usata da Immanuel Wallerstein per indicare il Sessantotto. Ma più che una rivoluzione è stato un tentativo di rivoluzione sconfitto. Una rivoluzione che faceva tesoro degli errori del socialismo reale – che aveva trasformato le società in caserme – e che provava a inventare forme politiche, stili di vita, insomma una «società di liberi e eguali » basata su una democrazia radicale.
È questa l’eredità degli anni Settanta, con cui ogni movimento si trova a fare i conti. Il problema, ma questo non è certo compito di Grispigni, è che è una eredità che ancora «scotta», senza riuscire a rendere produttiva per un presente distante ormai anni luce da quel decennio.
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